Forte di un protagonista ambiguo e importante come Masino Buscetta, figura ambigua ed enigmatica che in quanto primo pentito ha fatto la storia della lotta alla mafia, Marco Bellocchio ha messo su un film solido e sobrio, che non manca di ammiccare al cinema pop americano (l’uso delle sovrimpressioni quasi tarantiniano, il counter dei morti di mafia) per farsi piacere anche dai più giovani e dare brio alla narrazione.
Se da una parte lo stato (Falcone a parte) viene dipinto un po’ ambiguamente, con i dubbi sull’attendibilità di Buscetta che vengono sollevati soltanto quando questo punta il dito contro Andreotti, dall’altro è ferma la condanna del pentito da parte di Bellocchio, con il potente flashback finale a sventrare ogni ipotesi di umanità del protagonista.
Non fosse per un’accanimento eccessivo nel raccontare ogni processo (che a dire la verità maxi-processo a parte sono un po’ noiosi, talvolta ridondanti), che fa sforare notevolmente il minutaggio del film, staremmo a parlare di un capolavoro italiano.
Nel ruolo di Buscetta, Favino è stato straordinario. Caricandosi chili, ambiguità , debolezze, sensi di colpa e sprazzi di umanità , ha costruito un’interpretazione veritiera e potente. A Cannes ha avuto solo la sfortuna di imbattersi in un Banderas alla prova della vita.
Fantastico comunque tutto il parco attori, forte di solisti straordinari come il succitato Favino e uno strabordante Lo Cascio nel ruolo di Contorno, ma anche di eccezionali caratteristi (i mafiosi sono uno meglio dell’altro, Ferracane nel ruolo di Pippo Calò è da sturbo ad esempio).