Questo 2019 ormai agli sgoccioli ha ancora qualche cartuccia da sparare. Il ritorno dei Minnie’s non rappresenta solo un’ottima notizia per tutti i cultori della vera scena indipendente italiana, ma anche un’occasione per far ricredere coloro che, di fronte a drastici cambiamenti artistici, tendono a storcere il naso.
“Evviva Manifesto” arriva quasi quattro anni dopo l’EP “Lettere Scambiate” e apre una nuova fase nella pluriventennale carriera del quartetto milanese. Il mutamento è importante, e potrebbe anche prendere in contropiede chi, come il sottoscritto, aveva assai apprezzato un album come “Ortografia”. Dimenticatevi le vecchie sfuriate punk/post-hardcore: i Minnie’s hanno deciso di imboccare una strada alternativa, che li ha condotti a un indie rock decisamente contaminato.
Le sfumature emo di “Breve” e “Il grande inverno europeo” fanno da collante tra il passato e il presente, ma non sono nient’altro che piccole gocce in un oceano di idee e suoni in continua evoluzione. Si passa dai malinconici riverberi di “Cicale” alle gentili pulsazioni funk di “Che segreti hai”, passando ancora per l’eleganza pop di “Da qui” e il nervosismo post-punk di “Dovunque”, interessante soprattutto per la parentesi etnica gentilmente offerta dalla voce di Tatè Nsongan.
Il membro fondatore dei Mau Mau non è l’unico ospite d’onore di “Evviva Manifesto”: in “Volare” e “Fenice”, due brani dal gusto vintage splendidamente arrangiati, si nota la presenza di un grande polistrumentista come Enrico Gabrielli (PJ Harvey, Calibro 35, Afterhours). I suoi fiati regalano alla musica dei Minnie’s un respiro tradizionale, degno della miglior canzone italiana.
Per gusti personali, continuo a preferire quanto fatto in precedenza. Impossibile tuttavia non riconoscere lo spessore di un gruppo che ha il coraggio di rompere i propri schemi e reinventarsi, senza ombra di timori o indecisioni. La classe non è acqua.