Il fascino assoluto della notte, la bellezza ambigua, il mistero, la magia, l’orrore che sfiora lo splatter; sono gli ingredienti e nemmeno tutti, che hanno cristallizzato “Intervista col Vampiro” nella nostra mente. Dopo venticinque anni, il film di Neil Jordan tratto dal romanzo omonimo di Anne Rice irretisce e cattura senza pause facendoci provare il sottile piacere di immedesimarci, a seconda dell’umore o della fascinazione del momento, nell’insensibile e impietoso Lestat o nel tormentato e magnetico Louis interpretati rispettivamente da uno strano biondo, ma carismatico Tom Cruise e dall’algido Brad Pitt perfetto nel suo personaggio. “Intervista col vampiro” ci accompagna attraverso i duecento anni dannati della vita di Louis de Pointe du Lac, diventato vampiro per disperazione, ma sempre in bilico tra l’umano e la bestia senza cuore. Louis non cede liberamente agli istinti più nefandi e tenta di aggrapparsi costantemente al tepore della vita umana rifiutando di uccidere e preferendo cibarsi di sangue animale.
“Il male è un punto di vista. Dio uccide indiscriminatamente, e così faremo noi; perchè nessuna creatura di Dio è come noi; nessuno è simile a lui, quanto noi” gli dice Lestat, da perfetto mentore ormai disilluso e privo di qualsiasi moralità , a suo agio nell’essere un non morto, un inesistente senza cuore. Soffriamo con Louis, siamo con lui alla ricerca di un senso in una esistenza eterna che condanna ad essere per sempre soli e reietti pur restando giovani e bellissimi.
“Sono di carne e sangue, ma non sono umano. Non sono più umano da duecento anni” dichiara Louis a Daniel Molloy (un buon Christian Slater peculiare nella sua parte di comprimario) il giornalista che lo intervista incredulo. Durante la narrazione apprezziamo l’ottimo lavoro scenografico e fotografico che rendono tutto gotico e oscuro sopratutto nella seconda parte del film quando Louis e la piccola e inquietante Claudia/Kirsten Dunst vanno a Parigi per trovare pace, ma si imbattono nel vampiro più antico del mondo, un ambiguo e viscido Antonio Banderas. Armand e Lous si attraggono, si desiderano l’un l’altro non solo come mentore e allievo, anelano ad una vita di onnipotenza forse felice di certo priva di qualsiasi conforto sentimentale e spirituale. Ed ecco che il film diventa oppressivo, sinistro, al limite del gore e la scena della morte di Claudia e Medeleine è terribile e morbosa, quasi sadica, ma necessaria per gettare ulteriore ombra sul destino del solitario Louis che dopo essersi allontanato da Lestat e non avendo trovato quello che credeva in Armand, si rassegna a vivere in solitudine l’eternità .
Neil Jordan non perde mai di vista l’assoluto protagonista e non c’è scena che non sia riempita dal viso perfetto di Brad Pitt; persino Tom Cruise in certi punti ne è oscurato. Splendide poi le citazioni cinematografiche quando Louis va al cinema affascinato da questa moderna meraviglia; in un fotogramma appare anche il Conte Orlock nel Nosferatu di Murnau a unire idealmente i due vampiri. Salta l’occhio l’orribile non morto espressionista controbilanciato dall’efebica e inafferrabile bellezza dei succhiasangue della Rice. Perchè questo anche vuol comunicare il film (e il romanzo, ovviamente) una bellezza pura, ideale, assoluta e ambigua, androgina e omosessuale dove non esiste vergogna nel palese erotismo tra Lestat e Louis e dove le donne (le prostitute di New Orleans, Yvette la cameriera di Louis per esempio) non sono nient’altro che prede sanguinanti, semplice cibo senza nessuna attrattiva fisica per i due bellissimi predatori.