La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho saputo che i The Who avrebbero fatto un nuovo album di inediti è chiedermi perchè.
Possono benissimo continuare a fare concerti con i loro stupendi classici, perchè esporsi alle inevitabili critiche di chi li paragonerà impietosamente ai The Who dei tempi passati o ironicamente li apostroferà come alfieri di una nuova ondata rock geriatrica.
Quel simpaticone di Pete Townshed ha inoltre pensato bene di promuovere l’uscita dell’album con interviste dove ha elegantemente puntualizzato che in fondo gli Who erano soprattutto lui e che i suoi soci, in particolare quelli passati a miglior vita, fossero elementi da evitare.
Questo, che forse era il concetto, ha poi finito per esporlo in un modo così poco elegante e inopportuno da causargli una valanga di critiche e rimproveri sui social.
Nel mentre ringraziava Dio per la loro dipartita aggiungeva … “Era difficile suonare con loro, cazzo. Non sono mai riusciti a costruire una band da soli. Penso che la mia disciplina musicale, la mia efficienza da chitarrista ritmico abbiano tenuto insieme il gruppo”, insomma un mezzo suicidio mediatico.
Se questa è stata solo una mossa pubblicitaria consigliata dal suo staff per attirare l’attenzione sull’uscita dell’album immagino che poi sia volata qualche testa, comunque il caro Townshend ha subito fatto marcia indietro sottolineando che …. “Nessuno può capire quanto mi manchino Keith e John, sia come musicisti che come amici ed esseri umani. L’alchimia che condividevamo in studio manca nel nuovo album, e credo sia sbagliato cercare di ritrovarla senza di loro, ma temo che la tentazione resterà sempre con noi. Ancora oggi sono arrabbiato con Keith e John per essere morti “, insomma, recuperando in parte .
Ancora una risposta sulla domanda iniziale non me la sono data, che Pete Townshend avesse qualche buon brano scritto da inserire era vero e l’ascolto lo conferma, ma devo confessare che all’inizio l’effetto nostalgia aveva il sopravvento, finendo con il distrarmi e tornare con il pensiero ai momenti non dico di “Quadrophenia” ma di certo a quelli di “Face Dances” che in effetti mi sono andato a riascoltare.
Per quanto riguarda l’album cominciamo dalla prima cosa positiva: la copertina che, davvero bella, mi aveva colpito subito e fatto venire voglia di comprare il vinile e che finisco per scoprire essere opera di un grande artista, Peter Blake.
L’artista, che negli anni ’50 era uno dei più ricercati artisti pop britannici e che aveva già disegnato per la band proprio la copertina dell’album “Face Dances” nel 1981, è sicuramente passato alla storia per la iconica cover di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” fatta per i Beatles: insomma “Who” non l’ho comprato ancora ma spero proprio di trovarlo tra i regali di Natale.
La seconda cosa positiva è che l’album è bello, non è banale e ha il merito di mantenere in parte il sound tipico degli Who, non mi ha annoiato come sinceramente temevo, già dall’inizio è piacevole con “All This Music Must Fade” in un brano in cui la voce caratteristica di Daltrey, i cori , la chitarra di Pete sono proprio The Who, e la sensazione piacevole continua con “Ball And Chain”, un bel blues rock che ho apprezzato immediatamente.
Certo, in alcuni brani cercano di non fare gli Who, come capita nel pezzo finale spagnoleggiante “She Rocked My World” che però a me non convince proprio, o come in “Break The News” che non è poi così malvagio, ma decisamente li preferisco nella prima parte dell’album dove ripercorrono strade stilistiche già percorse come avviene in “Detour” o in “Hero Ground Zero”.
Sinceramente mi aspettavo di peggio, se in passato ti sono piaciuti i The Who l’album lo ascolterai con piacere, pensando che tutto sommato i due rimasti quello che fanno lo sanno fare, gli anni sono passati e il tempo non si può fermare, ma finchè avranno voglia noi saremo qui ad aspettarli.
Credit Foto: Davidwbaker [CC BY-SA 4.0], via Wikimedia Commons