di Cassandra Enriquez

Dopo l’EP di debutto nel 2017, due anni di tour in giro per l’Italia, condendo il tutto con aperture per Frah Quintale, Coma_Cose, i Pinguini Tattici Nucleari e molti altri, i Joe D. Palma sono tornati e lo fanno con “Tutto OK.”, un album che sembra porre le basi per un’ interessante futura carriera musicale. La band padovana si pone nella scia di un cantautorato sbarazzino ed ironico, con un sound che ricorda il dancefloor britannico e una chitarra che strizza l’occhio al new wave. Un pop discretamente coinvolgente accompagna testi, che cercano, sempre col sorriso agrodolce, di descrivere la generazione dei “giovani d’oggi”: i disagi, i piccoli e i grandi problemi della quotidianità , con aneddoti e accostamenti bizzarri, sono tutti filtrati da una patina di leggerezza e nascosti dietro quel “‘tutto ok‘ che dà  il titolo all’album e rappresenta proprio quella frase di routine con cui si esprime un modo di essere e un modo, in fondo, di non essere.

L’obiettivo, non troppo pretenzioso, è quello di creare una piccola comunità , che si ritrova a ballare con spensieratezza sulle piccole turbe di tutti i giorni, condividendo un certo disagio raccontato nei testi, senza prendersi troppo sul serio. Descrivendo situazioni al limite del surreale, riescono ad affrontare quelli che sono (pseudo) problemi quotidiani come in “Pop Corn”: il protagonista è un personaggio che, come fosse al cinema, mangiando i suoi pop corn, fa da spettatore alle vicende di due innamorati; i due, nonostante qualche fugace incontro, rimangono a distanza, la stessa distanza che li divide nella vita reale. Così, dietro questo velo quasi ridicolo, ci parlano di quel senso di smarrimento che ci fa sentire persi nella distanza da noi stessi e dagli altri, dell’incapacità  di gestire gli affetti, come di resistere alle tentazioni.

Al di là  quindi di una musica sicuramente sbarazzina, ballabile e piacevole, che guarda agli anni ’80 con buona disinvoltura, forse sono proprio i testi il punto forte di questo lavoro: nonostante la carica autobiografica sia molto marcata (e compare, a tratti, un’ eccessiva autoreferenzialità  che alla lunga da fastidio) infatti, arrivando a condividere con il pubblico la propria intimità , le proprie esperienze e le proprie emozioni, descrivono qualcosa che c’è un po’ in tutti noi, in cui possiamo proiettarci, rifletterci e con cui possiamo confrontarci per trovare una compagnia “‘da bar‘. Alla fine questo LP sembra essere proprio la rivisitazione in musica di una conversazione tra amici in un bar, davanti a quell’amaro di troppo che ci rende tutti più simpatici.

Senza subbio un discreto tentativo, un album di rodaggio che pone una serie di basi e di caratteristiche distintive che lasciano intravedere un cuore di qualità  che deve ancora essere limato e liberato, ma che si prospetta sicuramente interessante.