“L’età dell’oro dell’Indie potrebbe essere finita, ma The Big Moon stanno resuscitando il cadavere per un ultimo hurrah“. Così Harriet Gibson dal Guardian sosteneva nella sua recensione all’album “Love in the 4th Dimension” che nel 2017 segnava il debutto del quartetto tutto al femminile londinese. Non male come giudizio, se si considera che l’album in questione venne ben accolto da critica e pubblico e pure nominato ai Mercury Music Prize. Tanta attesa quindi per questo loro sophomore, anticipato da ben quattro singoli, l’ultimo dei quali, “Barcelona”, uscito tre giorni prima dell’album. Finito il tour che come di rito segue l’uscita di un nuovo album, Juliette Jackson, leader della band, ha iniziato la scrittura dei nuovi brani cercando uno stile e nuove idee che portassero i suoni della band fuori dallo standard “guitar-indie-band” che aveva caratterizzato il loro debutto. Il primo passo è stato quindi la scelta di un nuovo produttore caduta su Ben Allen (Deerhunter, Fanfarlo, Animal Collective, Gnarls Barkley ) con conseguente viaggio ad Atlanta dove l’album è stato prodotto al BTS Studio.
Già dal primo singolo “It’s Easy Then” si era notato un deciso cambio di direzione sonoro e ascoltando i successivi singoli e quindi l’album ogni dubbio in tal senso si dissolve nell’evidenza. Mentre “Love in the 4th Dimension” ci aveva fatto conoscere un gruppo fresco, con quel fare sbarazzino che tanto era piaciuto – trademark Elastica meets Pixies – , nel nuovo disco le chitarre vengono appoggiate sui loro supporti in molti brani, sostituite da piano e strumenti a fiato, come trombe e flauti. C’è una forte volontà di cambiamento, un’evoluzione artistica che non ci aspettavamo così rapida. Tutto nasce dalla consapevolezza di essere una band che ha superato la prima fase, quella di trovare il giusto equilibrio tra i vari membri. Poi si scrivono i brani, spesso una sorta di compromesso tra i vari generi, oppure dal forte carisma di un leader che impone le proprie idee. Il primo album, il tour e i fan. Tutto sembra perfetto. Ci si rimette a scrivere e, come spesso avviene, l’inerzia ti porta nella medesima direzione. Questo non è accaduto alle Big Moon. Staccare qualche mese è servito a creare un solco con il passato e ha alimentato la convinzione e l’audacia per andare oltre, in fondo sostituire le chitarre con qualche altro strumento non è un sacrilegio e neppure si rischia una condanna per alto tradimento.
La forza compositiva rimane, viene solo esternata in un modo nuovo, stimolante. Quindi al diavolo le paure, le probabili critiche dei fan più conservatori. Potremmo iniziare l’ascolto dall’ultimo brano in scaletta, “ADHD”, che ci sta a pennello come brano di chiusura. Si parlava di trombe ed in questo brano lo strumento dialoga con indovinate sovrapposizioni di voci con un finale in crescendo da incorniciare. “Take a Piece” credo sia il brano che non ci si sarebbe mai aspettato da loro. Sottoscrivo l’azzeccatissimo commento sotto il video di Youtube: “Backstreet Moon”. La chiave di lettura per cercare di comprendere questo disco forse la possiamo trovare tra le parole di “It’s Easy Then”, un brano scritto per comunicare un semplice concetto: la vita è facile e semplice ma nei tempi recenti tutto si è complicato. Pensiamo troppo, siamo vittime delle troppe notizie che ascoltiamo giornalmente e che creano ansia, il lavoro, le preoccupazioni ci rovinano il quotidiano. La musica del brano ha invece lo scopo di rilassare, trovare quella pace che abbiamo perduto. Ci sono canzoni, cito come esempio “Barcelona”, che prendono forza con gli ascolti. Difficile trovare un brano che per bellezza si stacca dagli altri. “Dog eat Dog” è una triste descrizione di un’esistenza senza consapevolezza, vediamo solo ciò che vogliamo, più che un “cane che mangia cane” siamo “piccioni che mangiano resti di pollo fritto per la strada“.
La scrittura della Jackson è semplice ma allo stesso tempo profonda, ironica e diretta. La sua voce riflette una personalità carismatica ed i brani hanno sovente una costruzione irregolare da eludere l’aggettivo “scontato” da qualsiasi critica al disco. Sei anni fa è iniziata l’avventura di Juliette, Soph, Celia e Fern ed il loro è stato un percorso sempre ricco ed in costante evoluzione. Con “Walking Like We Do” la Grande Luna ha fatto centro, possiamo anche guardare il dito che ne indica la direzione perchè questa luna non ha mai avuto un moto regolare come da un astro ci si deve aspettare. Ormai dalle ragazze di Londra ci si può aspettare di tutto.
Credit Foto: Pooneh Ghana