Tornano a farsi vedere e sentire in Italia i Ride dopo la fugace, quanto fortunata apparizione, lo scorso agosto, come headliner alla prima giornata del Todays Festival; annuncianti a cast già pubblicato, in sostituzione degli sfortunati Beirut, che annullarono il tour mondiale. Si narra di una performance di tutto rispetto, replicata oggi in Santeria nella loro prima data italiana ufficiale post reunion (festival esclusi appunto), in un contesto completamente differente, decisamente più raccolto e quasi intimo, in una serata speciale che segna anche il 52esimo compleanno dello storico bassista Steve Queralt, festeggiato a dovere con tanto di torta sul palco.
Alfieri e capostipiti del cosiddetto movimento shoegaze, sono ulteriormente lievitati in popolarità , arrivando allo status symbol di cult band, proprio nel lunghissimo periodo di assenza, prima dell’inatteso ritorno discografico nel 2017 con “Weather Diaries” bissato qualche mese fa con “This is not a Safe Place”; per quanto mi riguarda, a differenza di alcuni colleghi, ho apprezzato molto la voglia di rimettersi in gioco, non solo la capacità di raccogliere la richiesta di tanti appassionati di queste band che scrissero una pagina di storia importante del rock in Inghilterra (insieme ai Ride, c’è stato il ritorno degli Slowdive, dei Lush, degli stessi My Bloody Valentine), ma anche la voglia di scrivere nuove canzoni, riuscendoci a pieni voti. Ovviamente siamo lontani da quei due dischi del primo periodo (“Nowhere” e “Going Blank again”) che ancora oggi sono seminali quanto preziosi come l’oro, irripetibili, molto probabilmente inarrivabili, soprattutto per la collocazione storica, l’entusiasmo, l’età , ma anche lo stesso vissuto in un’Inghilterra a cavallo tra gli 80 e i 90, completamente diversa, quindi ere geologiche imparagonabili che influiscono per forza di cose, sulla musica stessa, c’è poco da fare. Però, detto questo, la qualità media di questo ritorno discografico in due episodi, è più che gradevole e le stesse nuove canzoni, mischiate ai cavalli di battaglia di sempre, emergono ancora meglio nel contesto live.
Quindi stasera va in scena un classico best of, i nuovi brani, su tutte la bellissima “Future Love” e l’ipnotica in “In This Room” (tra le cose migliori di sempre a marchio Ride), ignorati i due episodi in tono minore della loro personale golden age (così nulla da “Carnival Of Light” e “Tarantula”) e gli evergreen che molti di noi sono qui a sentire per la prima volta. Dopo una lunga attesa, avere l’occasione di ondeggiare su “Leave Them All Behind”, “Taste”, “Vapour Trail” o “Seagull” tanto per citarne qualcuna, non è cosa da tutti giorni e vista l’assenza ventennale non era così scontato. Un concerto pieno zeppo di chitarre, le tanto dimenticate chitarre di questi ultimi anni, un wall of sound che sa di boccata d’ossigeno, un sollievo; bellissimo essere al passo con i tempi, ma avere Andy Bell con la Telecaster a 5 metri, insomma, ti fa capire quanto la storia del rock sia nata e cresciuta sulle sei corde.
Siamo davvero dentro ad un’enciclopedia, una wikipedia live; i Ride sono tutto questo, un modo di scrivere e suonare che ha fatto scuola, influenzato decine di band contemporanee e successive, ne sa qualcosa anche un capolavoro come “Wish” dei Cure, tanto per fare un esempio. Un collettivo in gran forma, confermati i giudizi, che li hanno visti tornare con lode, persa inevitabilmente la riot giovanile, ma guadagnata la maturità di musicisti, che non hanno mai smesso di esserlo, con carriere soliste e altro. Fa un enorme piacere vedere come tutto quel movimento sia stato recepito, studiato, osannato e memorizzato anche appunto negli anni della totale assenza di queste band; raccolsero forse troppo poco o semplicemente la fiamma si spense abbastanza velocemente come capita spesso, tra incomprensioni e rincorse ad un successo commerciale più ampio, o in un mondo sebbene diverso, ma storicamente ciclico, sempre alla ricerca di novità tanto per assecondare una sete ossessiva.
Qui ci possiamo fermare, rifermare ed imparare, senza essere mai delusi.