Pochi artisti sono cresciuti negli ultimi anni come Sarah Mary Chadwick. Neozelandese trapiantata in Australia, da tempo ormai scrive e compone dischi di grande impatto emotivo accompagnandosi con la chitarra e il pianoforte. Elogiata dalla critica non ha purtroppo mai raggiunto il successo di pubblico che meriterebbe.
Le cose potrebbero cambiare con “Please Daddy” in cui il tono aggressivo degli esordi si stempera definitivamente in dieci brani sobri e sofferti. Il lutto che ha ispirato l’album (la morte del padre) pervade ogni nota, ogni attimo. Dolore che diventa una presenza fissa, costante, si può quasi toccare in “When Will Death Come”, “I’m Not Allowed In Heaven” e “Nothing Sticks”, si fa più lieve solo momentaneamente in “Let’s Fight”.
Dolore che segna, che brucia ma non annienta quello di cui parla Sarah Mary Chadwick. L’anno scorso si era messa alla prova con un progetto ambizioso chiamato “The Queen Who Stole The Sky” (undici splendidi brani composti per essere suonati sull’antico organo del municipio di Melbourne) e un po’ di quella solennità è rimasta in “Please Daddy”.
Fa i conti con se stessa Sarah Mary e non è tenera, in un disco intimo e personale che la vede circondata dagli amici di sempre: Tim Deane-Freeman alla batteria, Geoffrey O’Connor al basso, Hank Clifton-Williamson al basso, Joel Robertson alla tromba. Anna Calvi e Joan As Policewoman sono i nomi che vengono in mente sentendo “Please Daddy” ma anche i fan di Amanda Palmer dovrebbero ascoltare con estrema attenzione.