Era stato un bel pugno in faccia il grintoso album “Try Not To Freak Out” dei norvegesi Sløtface che piazzavano cariche bordate pop-punk ricche di ritornelli a presa rapida. Testi non tanto sciocchini o banalotti, ma incentrati su tematiche tutt’altro che povere come il sessismo, tanto per dire o aspetti delicati come la malattia mentale: 30 minuti circa, taglienti e da gustarsi tutto d’un fiato, senza però spegnere il cervello.
I ragazzi di Stavanger tornano ora con la stessa grinta e buona capacità melodica, ma forse anche qualche freccia in più all’arco, come una maggior capacità di prendere fiato, senza andare fuori giri o l’attenzione di Haley Shea a temi più personali, che la riguardano direttamente.
Diciamocelo a scanso di equivoci: nessuna voglia di sovvertire i dettami del pop-punk e andamento rodato che non è stato cambiato, ma è impossibile non notare che i pezzi pimpanti restano spesso travolgenti e ipermelodici (su tutte “Tap The Pack” e “Passport”), anche se qua e là qualche riempitivo non particolarmente brillante fa capolino (“Telephatetic”, ad esempio, è realmente tutta troppo telefonata fin dal primo secondo). Parlavamo dei momenti più tranquilli (passatemi il termine), beh, sono assolutamente graditi l’andamento pop di “Stuff” e “Luminous” (forse il brano più accattivante dell’intero album), mentre anche “Sink Or Swim”, pur puntando al buon climax finale, ci fa arrivare a tanto così dalla voglia di skippare prima.
In definitiva, una buona conferma per il terzetto norvegese, pronto a dare il massimo sul palco, ovviamente.
Photo Credit: Martin Høye