Dopo due primi episodi che introducono il nuovo Papa arrancando tra provocazioni un po’ ovvie, sia visive che narrative, Sorrentino ritrova presto la quadra e mette in piedi una stagione buona almeno quanto la prima. Specie in sede di sceneggiatura la carne messa a cuocere è tanta, alle tematiche dell’omosessualità e della pedofilia all’interno della chiesa vengono infatti aggiunte il ruolo delle suore, il fanatismo religioso e la necessità di un update del credo. Il tema centrale e imprescindibile, sviscerato questa volta attreverso le insicurezze di Papa Brannox (un Malkovich felpato e penetrante), è al solito la fede. Una serie che viene spesso in mente guardando questo “The New Pope” è infatti la meravigliosa e ingiustamente bistrattata “The Leftovers”.
Inutile dire che la serie decolla davvero quando ritorna in scena il vecchio Papa Lenny Belardo, il cui risveglio viene annunciato da titoli di testa destinati ad entrare nella storia della televisione, oltre che a scatenare l’invidia e la frustrazione dell’intero pubblico maschile. Sebbene fugace il confronto tra i due Papi, emblemi di due modi di essere ed intendere la fede diametralmente opposti è fantastico. Una roba difficile da immaginare maneggiata da attori peggiori di Malkovich e Law.
Le trovate visive della ditta Sorrentino/Bigazzi si sprecano, alcune sono fini a se stesse, altre fantastiche (il crowdsurfing di Papa Belardo è da applausi). Ma si sa, Sorrentino ormai un po’ ci gioca, tanto che a questo giro ci ha anche piazzato la suora nana che fuma profetizzata da Crozza. Meravigliosamente filmato, quello che viene viene proposto è un vero e proprio tour de force di immaginifiche provocazioni, da cardinali intenti in threesome pansessuali a suore di clausura che copulano con migranti islamici, così dissacrante da mettere a dura prova i fedeli cattolici di vecchio stampo (ho spesso immaginato la faccia delle mie vecchie maestre di catechismo a cospetto di cotanta materia).
Divertentissimi i titoli di coda dell’ultima puntata, che premiano finalmente l’interpretazione reale, anzi no papale, di Orlando, che, non sfigurando mai in presenza di Law e Malkovich, guida una carrellata di comprimari lussuosi.