Terzo album per Elly Jackson, che dopo l’enorme successo dell’esordio “La Roux” dieci anni fa ha dovuto affrontare enormi difficoltà di ordine pratico e creativo. Le divergenze col collaboratore storico Ben Langmaid si sono fatte sentire e già con il secondo disco “Trouble in Paradise” si era capito che la Jackson non era più la musicista sforna hit di “Bulletproof” e “In For the Kill” anche a causa di alcuni problemi alla voce, che l’hanno costretta a moderare il falsetto cercando tonalità diverse.
Difficile anche la genesi di “Supervision”: separazioni da manager e casa discografica hanno rallentato le registrazioni iniziate già nel 2015. C’è voluto un produttore rinomato come Dan Carey (Bat For Lashes, Hot Chip, Black Midi, Kylie Minogue) per far ripartire il progetto La Roux e trasportare Elly Jackson nel ventunesimo secolo. Il risultato è un album di maturo pop elettronico, senza acuti particolari.
Diversi ritornelli accattivanti (“Automatic Driver”, il singolo “International Woman of Leisure”) trascinati da tastiere e sintetizzatori che creano atmosfere non sempre originali ma a volte frizzanti come un aperitivo alla giusta ora. L’esperta mano di Dan Carey si sente negli arrangiamenti ricercati di “Otherside” e “He Rides” ma i riferimenti di La Roux restano gli stessi di sempre: Human League, Heaven 17, gli Chic.
Elly Jackson ha ritrovato la sicurezza in se stessa, anche vocalmente come dimostra “Gullible Fool”, in un disco dai toni più estivi che invernali che non osa, non cerca il colpo ad effetto. Gioca sul sicuro ed è un peccato ma potrebbe rappresentare il primo passo verso una definitiva rinascita.
Credit foto Ed Miles