Incredibile ma vero, i The Men sono riusciti a registrare ben tre dischi di fila con la stessa formazione. “Mercy” è l’ottavo album per gli uomini di Brooklyn e poter contare su una line ““ up ormai rodata è una piacevole novità a cui si sono abituati in fretta.
Mark Perro, Nick Chiericozzi, Rich Samis e Kevin Faulkner hanno scelto gli studi Serious Business a Manhattan e il produttore Travis Harrison (storico collaboratore dei Guided By Voices ma anche al fianco degli ultimi Built To Spill) per dar vita al successore di “Drift”.
Sette brani registrati live e incisi su nastro con pochissime modifiche. Mood analogico dunque, che influenza l’andamento di canzoni umorali come non mai. Cambiano decennio i The Men, abbandonano del tutto le radici noise e passano dal post punk anni ottanta a ritmi anni settanta. Li ritroviamo in veste quasi acustica con “Cool Water” e “Call The Dr.” che ricordano esperimenti unplugged come l’EP “Campfire Songs” del 2013 arricchiti da una batteria e da un sottofondo d’organo.
L’alchimia tra i quattro è evidente soprattutto in una cavalcata blues da manuale intitolata “Wading In Dirty Water” che lascia il posto al minimalismo piano e voce di “Fallin’ Thru”. Il synth pop con inserti rumorosi del singolo “Children All Over The World”, il rock impetuoso di “Breeze” e l’intensità della title track completano il quadro.
I The Men hanno sicuramente proposto dischi più avventurosi di “Mercy” che mette parzialmente in luce le anime diverse e contrastanti che hanno sempre caratterizzato il loro sound ma (spiace dirlo) poco aggiunge a quanto già detto e suonato dal quartetto. Molte idee non sempre musicalmente a fuoco. Un album di transizione verso futuri traguardi.