Dieci anni dopo l’ultima uscita solista, il Principe delle Tenebre riemerge dalle ceneri degli ormai definitivamente defunti Black Sabbath per reclamare il trono dell’heavy metal. “Ordinary Man” segna il ritorno sulle scene del settantunenne Ozzy Osbourne, debilitato da svariati problemi di salute e sempre più vicino a quel ritiro dai circuiti live che, tra numerosi tira e molla, era già stato annunciato nel lontano 1992. Questa volta, purtroppo, potrebbe davvero trattarsi del canto del cigno. Basta dare una rapida occhiata ai titoli in scaletta (“Goodbye”, “Today Is The End””…) per capire che c’è aria di smobilitazione dalle parti di casa Osbourne.
O forse è tutto uno scherzo? Gli starò portando sfiga? Non fraintendetemi: lungi da me il passare per uccello del malaugurio. E allora meglio allontanarsi dai pensieri foschi per addentrarsi in questi dieci brani (più una bonus track) nati quasi in maniera fortuita. Galeotto fu l’incontro con il giovane produttore Andrew Watt, noto ai più per le sue collaborazioni con Cardi B, Post Malone, Justin Bieber e 5 Seconds Of Summer. Di primo acchito, l’accostamento potrebbe far venire i brividi di paura a qualsiasi appassionato di metallo che si rispetti.
Il ricco curriculum di Watt, tuttavia, parla chiaro: il ragazzo conosce molto bene la materia. Tra il 2013 e il 2015, infatti, ha ricoperto il ruolo di chitarrista nei California Breed, al fianco di una leggenda dell’hard rock come Glenn Hughes ““ che sicuramente conoscerete per i trascorsi nei Deep Purple, ma ha anche maturato una fugacissima esperienza nei Black Sabbath (l’album “Seventh Star”, nel 1986). Se oggi abbiamo tra le mani un nuovo full-length a firma Ozzy Osbourne, lo dobbiamo innanzitutto agli enormi sforzi compiuti da Watt.
Oltre ad aver ridato motivazioni a un cantante sfiancato dagli acciacchi dell’età , il produttore newyorchese ha provveduto a registrare tutte le tracce di chitarra del disco, con il saltuario aiuto di due ospiti speciali (Slash su “Straight To Hell” e la title track, Tom Morello su “Scary Little Green Men” e “It’s A Raid”). “Ordinary Man” può inoltre vantare una sezione ritmica da urlo ““ il bassista dei Guns N’ Roses, Duff McKagan, e il batterista dei Red Hot Chili Peppers, Chad Smith ““ e uno stuolo di esperti songwriters provenienti dal mondo del pop di alta classifica (Ali Tamposi, Billy Walsh, Louis Bell e lo stesso Andrew Watt).
Sulla carta, quindi, sembrerebbe essere tutto perfetto. La realtà però è un’altra cosa: fedele al suo titolo, questo è infatti un lavoro assolutamente ordinario. Non aspettatevi alcun tipo di sussulto: il ritorno di Ozzy Osbourne non rompe i ponti con il passato, ma non scava neanche nella nostalgia per le epoche d’oro dei guitar heroes Randy Rhoads e Zakk Wylde. L’obiettivo principale è rendere più moderno e innocuo un sound ““ ovvero quello dell’heavy metal nella sua accezione classica ““ che ultimamente sembra aver perso qualsiasi tipo di attrattiva a livello commerciale.
A farne le spese, inutile dirlo, è la genuinità complessiva dell’opera. Le chitarre ultra-compresse non graffiano e, a tratti, ronzano in modo fastidioso: le trascinanti “Straight To Hell”, “Goodbye” e “Scary Little Green Men” avrebbero beneficiato enormemente di un pizzico di volume e cattiveria in più. E che dire della canzone più tosta in scaletta, la motorheadiana “It’s A Raid”? è un vero e proprio casino: il suono è bombastico ma plasticoso; il featuring di Post Malone non aggiunge nulla; la voce di Ozzy è totalmente deformata dall’abuso di autotune.
Le manipolazioni più o meno evidenti, comunque, caratterizzano un po’ tutto “Ordinary Man”: le ballad (la title track con Elton John e “Holy For Tonight”) e gli episodi maggiormente in linea con il filone pop (“All My Life” nella sua interezza, il ritornello della sabbathiana “Today Is The End”) sono le vittime designate del perfezionista Andrew Watt, attentissimo nel levigare e alleggerire i toni. Gli ottimi riff che fanno da spina dorsale alla cupa “Under The Graveyard” e alla divertente “Eat Me” non modificano di molto il risultato della partita: il Principe delle Tenebre si becca un bel sei e mezzo in pagella. Il “giovane” e la sua squadra si sono applicati, ma potrebbero far decisamente meglio. Alla prossima?