Jemma Freeman ha pubblicato lo scorso ottobre il suo primo LP, “Oh Really, What’s That Then?” per la Trapped Animal. La musicista inglese, già  componente dei Landshapes, ha lanciato questo suo nuovo progetto solista con un album molto interessante e assai variegato nei suoni. Noi di Indieforbunnies.com abbiamo deciso di contattarla via mail per farci raccontare di questa sua nuova esperienza, delle sue influenze, della sua etichetta, del nuovo disco, ma anche del suo lavoro con la band precedente. Ecco cosa ci ha detto:

Ciao Jemma, come stai? Benvenuta su Indieforbunnies.com! Suonerai in Italia tra pochi giorni: è la tua prima volta nel nostro paese con questo tuo nuovo progetto? Che cosa ti aspetti da questo lungo tour italiano?

Ciao, sto bene. In questo momento sono in macchina nel nord della Francia e sto viaggiando verso Verona, che sarà  il nostro primo live-show in Italia domani. Ci aspettiamo di vedere tante facce nuove e molte venue in cui siamo contenti di suonare. C’è stata una risposta molto positiva al mio disco e soprattutto da voi in Italia. Speriamo di portare la nostra musica anche a persone che ancora non ci hanno conosciuto.

Puoi dare ai tuoi fan italiani una piccolo preview dei tuoi live-show? Ci puoi raccontare chi è Jack di Barnet?

I nostri live-show tendono a essere un’esperienza più grezza e viscerale rispetto ai nostri dischi. Dal vivo al momento siamo in tre, così dobbiamo scegliere le parti delle canzoni da presentare, sarà  sempre qualcosa di più libero rispetto al disco, ma mi piace. Non vorrei mai ascoltare qualcosa che sembrasse la fotocopia di un disco”… Jeff è il mio drag-king alter ego, lui è tutto ciò che mi piacerebbe essere nella vita, fiducioso, determinato, esuberante.

The Cosmic Something è un nome davvero cool per una band: da dove proviene? Come e quando hai iniziato questo tuo nuovo progetto?

Ho sempre scritto canzoni sin da quando ero molto piccola, in un certo modo questa band ha iniziato a fermantare sin da allora. Non sono mai stata abbastanza sicura da poterle eseguire. Sono stata in una relazione violenta dove la mia sicurezza è stata completamente distrutta. Una volta che sono riuscita a scappare, ho cercato di iniziare a ricostruirmi e di aggiustarmi. Capire che le canzoni che avevo scritto erano di valore faceva parte di quel processo. E’ stato solo quando ho avuto un partner che mi ha aiutata e mi ha incoraggiato a proseguire con la musica che stavo facendo, che ho capito che era abbastanza valida da poter essere registrata. Essere nella fase in cui andiamo in tour in altri paesi, siamo sotto contratto con un’etichetta e abbiamo dei fan, per me è qualcosa di praticamente incredibile: se me lo avessi detto cinque anni fa, ti avrei risposto che era impossibile.

In precedenza hai suonato nei Landshapes: posso chiederti quali sono le maggiori differenze tra la tua band precedente e questo tuo nuovo progetto? Sei stata influenzata in qualche modo da loro in questa tua nuova esperienza?

I Landshapes sono sempre stati una band collaborativa. I loro due album sono stati scritti insieme nella stessa stanza. Siamo tutti personaggi diversi e portiamo una grande varietà  di influenze personali che si intersecano attraverso l’apprezzamento reciproco di alcune band. Ho suonato insieme a loro per un decennio, quindi è inevitabile che abbiamo tutti preso tratti e stili dagli altri. Detto questo, il mio stile vocale e i miei testi sono molto diversi tra Luisa e Heloises. Nei Landshapes ho sviluppato il mio stile chitarristico in qualcosa che puo’ essere espressivo e lirico. Ero ossessionata dai suoni duri e ampliare la mia gamma all’interno di quel gruppo mi ha sicuramente aiutato a esplorare emotivamente un livello molto più profondo.

Il tuo primo LP, “Oh Really, What’s That Then?” è stato realizzato dalla Trapped Animal, una indie-label molto interessante. Penso che si adatti perfettamente a te, visto che sta crescendo insieme ai musicisti del suo roster: come è nata la vostra collaborazione? Sei contenta di lavorare insieme a loro?

Lavorare con loro è perfetto perchè anche loro sono tutti dei musicisti, capiscono perfettamente le difficoltà  di essere DIY e sanno quanto lavoro comporta. Quando hai ancora un lavoro full-time dalle 9 alle 5, è difficile fare quello che stiamo facendo e loro ci hanno supportato totalmente. Avere libertà  creativa supportata dalla loro conoscenza di come funziona l’industria (musicale) è di grande aiuto per fondere la nostra ambizione creativa con ciò che è logico e pratico.

C’è un brillante mix di generi musicali nel tuo disco: punk-rock, synth-pop, psychedelia, jazz e molto altro. Cosa stavi ascoltando, mentre lo scrivevi? Quali sono state le tue principali influenze musicali?

Ascolto sempre cose nuove ed è difficile dire cosa stessi ascoltando, mentre stavo scrivendo ogni singola canzone. Le influenze classiche che non sono mutate sono Siouxxie And The Banshees, David Bowie, T-rex, Black Sabbath, Brian Eno, Lower Dens, Micachu And The shapes, mentre le nuove aggiunte sono Angel Olsen, Cowtown, Haley Bonar, Erkim Koray, Fugazi… C’è qualcosa di nuovo ogni giorno, se devo essere onesta!

Di che cosa parlano i tuoi testi? Sono personali? Da che cosa hai preso l’ispirazione, mentre li stavi scrivendo?

I miei testi sono profondamente personali, sono documenti surreali non solo di tempi e luoghi, ma in maniera più specifica anche del panorama emotivo e mantale in cui mi trovavo in un certo periodo. Spesso improvviso, così magari ho una parte di chitarra su cui sto lavorando da un po’ di tempo e poi finisco per registrare un intero flusso di coscienza. Spesso è così che la canzone viene scritta, da qui l’andare alla deriva dentro a immagini scure nel mezzo di una narrazione più facile da seguire. Alcune volte non sono consapevole di cosa una canzone stia canalizzando fino a tempo dopo, a volte anni dopo”…

Quali sono stati i maggiori cambiamenti nella tua musica rispetto al tuo EP uscito nel 2017?

C’è stata una maggiore collaborazione con i miei compagni di band, facendo jam (anche se odio quella parola) nella sala prove. Se devo essere onesta è una cosa molto personale e non mi piace condividere gran parte del processo creativo, è tutto molto intrecciato nella visione che potrei avere di una canzone. Potrebbe sembrare un po’ cattivo, ma ho lavorato in una band collaborativa in passato, quindi questo progetto serve maggiormente per realizzare le idee che avevo dentro di me come un elisir non diluito.

Un’ultima domanda: per favore puoi scegliere una tua canzone da usare come soundtrack di questa nostra intervista?

Vorrei usare “Tasteless” come soundtrack. Credo che sia la più avanzata in termini di songwriting e probabilemente (anche se cambio idea ogni volta) un cenno alla direzione in cui vorrei viaggiare.
E’ una canzone che ho dovuto scrivere perchè ero troppo terrorizzata ad affrontare certi aspetti della mia vita. Una relazione finita male, l’incapacità  di comunicare i miei sentimenti di suicidio, è praticamente sconfortata, ma il coro si riprende e mi fa rimanere in vita. La perdita di controllo alla fine è indicativa del posto in cui mi trovavo quando l’ho scritta.

Photo Credit: Suzi Corker