Avete presente i Temptations, vero? Negli anni ’60, questo elegantissimo quintetto vocale fece le fortune della Motown con singoli di successo come “My Girl”, “The Way You Do The Things You Do” e “Ain’t Too Proud To Beg”. Voci pulite, facce da bravi ragazzi e completi coordinati: tanto bastò al gruppo capeggiato da Otis Williams per impressionare il pubblico e scalare le classifiche di mezzo mondo. Non che la qualità della musica proposta non avesse alcun tipo di importanza: per quanto ormai siano giurassici sotto ogni punto di vista, moltissimi dei brani interpretati dai Temptations meritano di essere considerati tra i grandi classici della miglior musica soul/R&B.
Se i tempi non fossero cambiati, probabilmente i cinque campioni alla corte di Berry Gordy sarebbero andati avanti all’infinito ripetendo il solito bel compitino. Si sarebbero limitati a seguire pedissequamente le indicazioni che la casa discografica di Detroit dava alle sue numerose galline dalle uova d’oro: sfornare hit a ritmi industriali, tenersi alla larga da temi scottanti e mantenere un look sobrio, in modo tale da rassicurare le mamme dei giovanissimi fan. Con l’avvio della stagione hippie, però, le cose iniziarono a prendere un’altra piega per i Temptations, alla ricerca di quell’emancipazione artistica tanto agognata anche da alcuni illustri compagni di label (Marvin Gaye e Stevie Wonder).
Travolti dalla variopinta rivoluzione psichedelica, abbandonarono il grigio conformismo da boy band ante litteram per appropriarsi dello stile stravagante di Sly Stone e Jimi Hendrix. Non appena furono riposte nell’armadio giacche e cravatte a farfalla, vi fu un’esplosione di colori: stivali, foulard, sciarpe, bandane, camicie sgargianti, pantaloni a zampa di elefante e, stando agli indizi sparsi qua e là tra le note di “Psychedelic Shack”, generose dosi di allucinogeni e hashish nascoste nelle tasche.
è infatti impossibile non notare il forte legame tra gli otto brani del dodicesimo album dei Temptations e un certo tipo di atmosfere “stupefacenti” che caratterizzarono il finire dei “’60s. Immaginate una densa nube di fumo di marijuana avvolgere il tradizionale sound della Motown, e più o meno vi sarete fatti un’idea delle novità introdotte dal produttore-compositore Norman Whitfield per svecchiare una formula che stava rapidamente perdendo smalto.
Fu lui in primis a promuovere la totale conversione del quintetto al verbo psichedelico e all’impegno politico-sociale, allargando così un solco che si era già aperto l’anno precedente con “Cloud Nine”. Una mossa coraggiosa, perchè andava a spazzar via in un colpo solo tutto l’antico appeal commerciale dei Temptations. La funkeggiante title track che apre “Psychedelic Shack”, tanto per fare un esempio, aggredisce immediatamente l’ascoltatore con un groove impetuoso e ruvido: non è roba da heavy rotation.
La struttura classica della canzone perde peso, lasciando campo aperto a un suono puro, ricco, melodico ma estremamente mutevole: è un caleidoscopio soul che cambia colori e natura in base ai differenti registri dei cinque interpreti (oltre al già citato Williams, di questa formazione del gruppo facevano parte il solista Eddie Kendricks, Paul Williams, Dennis Edwards e Melvin Franklin).
Ai sontuosi arrangiamenti per archi che contraddistinguono la ritmatissima “You Make Your Own Heaven And Hell Right Here On Earth”, fanno seguito l’acida “Hum Along And Dance” e l’ultra-psichedelica “Take A Stroll Thru Your Mind”, che si estende per otto minuti e mezzo tra percussioni tribali ed espliciti riferimenti al consumo di droghe leggere (One drag, that’s all it took, I’m hooked, traducibile con qualcosa del tipo Mi è bastato un tiro per farmi conquistare).
Se la spensieratezza di “It’s Summer” serve soprattutto a snebbiare le mente intorpidite, il rock asciutto di “War” suona la sveglia contro la guerra in Vietnam e, più in generale, l’insensatezza dei conflitti (War, I despise/”‘Cause it means destruction of innocent lives/War means tears to thousands of mothers’ eyes/When their sons go off to fight and lose their lives). Una botta di tristezza che fa da antipasto alla coloratissima accoppiata finale, “You Need Love Like I Do (Don’t You)” e “Friendship Train”.
“Psychedelic Shack” si chiude all’insegna di una grande festa a tema soul, R&B e funk, piena zeppa di strepitose linee di basso e sopraffine armonie vocali. A distanza di cinquant’anni dalla costruzione, questa “baracca psichedelica” regge che è una bellezza.
The Temptations ““ “Psychedelic Shack”
Data di pubblicazione: 6 marzo 1970
Tracce: 8
Lunghezza: 36:35
Etichetta: Motown
Produttore: Norman Whitfield
Tracklist:
1. Psychedelic Shack
2. You Make Your Own Heaven And Hell Right Here On Earth
3. Hum Along And Dance
4. Take A Stroll Thru Your Mind
5. It’s Summer
6. War
7. You Need Love Like I Do (Don’t You)
8. Friendship Train