Il 7 febbraio 1995 Tupac Shakur, figura di spicco della scena hip hop della West Coast, fu condannato a quattro anni e mezzo di carcere per aver abusato sessualmente di una fan. A nulla gli servirono i pianti, i rimorsi, le richieste di perdono e le dichiarazioni di innocenza: i giudici della Corte d’appello di New York non si fecero impietosire e, indifferenti al bailamme mediatico che contornò la vicenda, decisero di sbatterlo dentro.

A tirarlo fuori di prigione, dopo aver pagato una cauzione milionaria, fu un omaccione chiamato Suge Knight, noto per essere stato l’amministratore delegato della Death Row Records nell’epoca d’oro del rap anni ’90. Il provvidenziale intervento di Knight ““ un altro che è tutto fuorchè uno stinco di santo: al momento sta scontando una pena per omicidio volontario ““ si fece attendere fino a inizio autunno. Troppo tardi, quindi, per permettere a un 2Pac fresco di rilascio di festeggiare a dovere l’entusiasmante trionfo del suo terzo album “Me Against The World”, sbarcato nei negozi di dischi nel lontano 14 marzo 1995.

Questo lavoro conserva da un quarto di secolo un poco invidiabile record: per la prima (e forse unica) volta nella storia della musica, un detenuto riusciva ad approdare ai vertici della Billboard 200. Duecentomila copie vendute in appena una settimana: un primato dal sapore dolceamaro, se raggiunto quando si è costretti a stare dentro una cella.

Oggi, per uno strano scherzo del destino, siamo diventati un po’ tutti ““ almeno in Italia ““ compagni di sventura del Tupac Shakur di venticinque anni fa. Come lui, infatti, viviamo da reclusi; un brutto virus incurabile ci ha reso previdenti e psicotici. Non voglio comparare la nostra esperienza alla sua, visto che di punti di contatto praticamente non ve ne sono: noi siamo innocenti mentre lui, almeno per la giuria del processo, non lo era affatto; noi ci siamo rintanati in casa per proteggere la salute, lui invece se ne stava in un ambiente insalubre e decisamente poco confortevole.

Non voglio sfociare nel didascalico o affondare nel moralismo spiccio, ma credo che una piccola lezione questo “Me Against The World” ce la possa insegnare: dai momenti difficili può nascere qualcosa di buono. Per 2Pac l’esperienza dell’isolamento dal resto del mondo, importante anche perchè in qualche modo richiamata nel titolo del disco, si trasformò in un’occasione di introspezione e autoanalisi. Quella che lui stesso definì una lettera d’amore all’hip hop assunse i connotati di uno spietato ma sincero diario personale. Un’opera cruda e priva di spacconerie; matura nel suo narrare, senza filtri o esagerazioni, le difficoltà  della vita nel ghetto e l’insensatezza della violenza delle gang.

Proprio quest’ultimo aspetto ricopre un ruolo rilevante in brani quali “If I Die 2Nite” e “So Many Tears”: il sangue di amici e nemici uccisi scorre a fiumi, inerpicandosi tra le rime e le allitterazioni di un 2Pac che, sotto il giubbotto antiproiettile, nasconde un cuore sofferente (I suffered through the years/And shed so many tears/Lord, I lost so many peers/And shed so many tears).

Per il rapper statunitense la morte non è uno spauracchio dal quale fuggire, ma un’ombra sempre incombente. Nella disperazione, può farsi persino speranza: alcuni versi profetici della title track (The question I wonder is after death, after my last breath/When will I finally get to rest through this oppression?) valgono più di un semplice indizio.

Nonostante questo, 2Pac non è tipo da demoralizzarsi facilmente: in “Me Against The World” dimostra di aver davvero voglia di essere una persona migliore di quella descritta da tabloid e televisioni. L’obiettivo è scrollarsi di dosso la figura del gangster perennemente in guerra con la East Coast; le sparatorie e le minacce hanno scarso peso per un uomo che ragiona sul suo rapporto con le donne (“Temptations”), sulle illusioni dell’adolescenza (“Young Niggaz”), sulla necessità  di vendere droga per campare (“Heavy In The Game”) e sugli effetti devastanti della depressione, rappresentata in maniera quanto mai brutale in “Lord Knows” (I smoke a blunt to take the pain out/And if I wasn’t high, I’d probably try to blow my brains out/I’m hopeless, they should’ve killed me as a baby/And now they got me trapped in the storm, I’m goin’ crazy).

Come ormai avrete capito, “Me Against The World” è un viaggio nelle profondità  di un’anima tormentata ma non ancora rassegnata. 2Pac flirta in continuazione con l’autodistruzione, che si tratti di fare il duro ““ “Fuck The World” è esplicita in tutti i sensi –  o crogiolarsi nel pessimismo più nero (Before I close my eyes I fantasize I’m livin’ well/When I awake and realize I’m just a prisoner in hell, da “Outlaw”). Sotto la faccia di bronzo, però, si cela il volto di un bambino che si commuove nel ricordare i sacrifici compiuti dalla madre, per anni afflitta da gravi problemi di tossicodipendenza, per far crescere lui e i suoi fratelli. La struggente “Dear Mama” è il vero epitaffio dello sfortunato Tupac Amaru Shakur, fuorilegge sensibile e incompreso.

2Pac ““ “Me Against The World”
Data di pubblicazione: 14 marzo 1995
Tracce: 15
Lunghezza: 66:06
Etichetta: Interscope
Produttori: Tony Pizarro, Easy Mo Bee, Soulshock & Karlin, Mike Mosley e altri

Tracklist:
1. Intro
2. If I Die 2Nite
3. Me Against The World
4. So Many Tears
5. Temptations
6. Young Niggaz
7. Heavy In The Game
8. Lord Knows
9. Dear Mama
10. It Ain’t Easy
11. Can U Get Away
12. Old School
13. Fuck The World
14. Death Around The Corner
15. Outlaw