Humanist è un progetto di Rob Marshall, ex chitarrista degli Exit Calm, che ha tratto ispirazione dall’improvvisa scomparsa di Gavin Clarke, grande cantante dei Clayhill, morto nel febbraio del 2015.
L’album è stato interamente scritto, prodotto e suonato da Marshall di fatto rendendolo il suo debutto da solista. Le partecipazioni sono di altissimo livello composte da musicisti che non hanno bisogno di presentazioni. Sedetevi, la lista è lunga, a partire da mostri sacri quali Dave Gahan e Mark Lanegan – che peraltro ha già collaborato con Marshall nei suoi due album “Gargoyle” del 2017 e “Somebody’s Knocking” del 2019 – passando per Mark Gardener (Ride), Carl Hancock Rux (David Holmes, Portishead), John Robb (The Membranes), Joel Cadbury (UNKLE), Ilse Maria, Ron Sexsmith and Jim Jones (The Jim Jones Revue, Thee Hypnotics).
A questo punto vi starete chiedendo qual è il risultato che scaturisce da tutto queste presenze. Be’, il risultato non poteva che essere strabiliante, un disco che si lascia ascoltare tutto di un fiato e senza fatica in tutti i 15 brani, dove è difficile trovare un passo falso.
Dopo un passabile intro, spetta proprio a Lanegan aprire le danze prima con una “synthetizzata” quanto ruvida “Kingdom” e poi con la successiva e ben arrangiata “Beast of The Nation” dove la grezza chitarra di Marshall domina la scena, il tutto apparecchiato per l’inconfondibile ed eccitante voce di Dave Gahan sulle note dell’allegro inno synth-rock “Shock Collar”.
Esattamente in contrasto con il sound gaio di Gahan si collocano “Lie Down” e soprattutto l’ansiosa e oscura “Ring Of Truth” – che, tra l’altro, è stato il primo singolo rilasciato da Marshall nell’estate scorsa – con Rux dei Portishead.
Ancora Lanegan ruba la scena con altri due ottimi brani, con l’ossessiva”Skull” e con la closing track “Gospel” caratterizzata da un canto corale etereo supportato dalle distorte note di Rob.
L’album seppur, come detto in precedenza, scorre senza fatica skip by skip non segue un filo conduttore e, quindi, si viene travolti ora da momenti shoegaze come in “When The Lights Go Out” lasciato alle mani esperte di Mark Gardener dei Ride ora in momenti decisamente più soft con le deliziose ballate “How’re You Holding Up” e, soprattutto, “Truly Too Late” nella quale incanta il bellissimo featuring di Ilse Maria.
Rob Marshall ha concepito davvero un buon prodotto dove oscure atmosfere si mescolano a momenti più esuberanti, quindi, senza che una nota alcuna risulti stonata o fuori contesto. Le partecipazioni sono importanti, certo, ma tutti gli artisti presenti si sono calati nel progetto senza nessuna arroganza, senza strafare anche nei pezzi dove si è osato un po’ di più come negli otto minuti di puro new-wave di “English Ghosts” oppure nell’inquietante “Mortal Eyes”, senza dimenticare la psichedelica “In My Arms Again” con Joel Cadbury dgli Unkle.
Insomma, la forza di questo album è l’assoluta freschezza e naturalezza che traspare da ogni singola traccia dove musicisti di calibro elevatissimo si sono messi a disposizione di Marshall, o viceversa perchè no, per realizzare un’opera che difficilmente verrà dimenticata.
Credit Foto: Kate Smith