A Brighton le case sul mare hanno l’intonaco rotto dal vento e dalla salsedine. Se dalla spiaggia guardate verso il centro, al di là di Kings Road le facciate sono rimaste quelle di una città degli anni 80, indistinguibili da un’istantanea virata seppia dell’Inghilterra della Thatcher. Anche quando splende il sole, permane una malinconia fiera e testarda.
Dara Margolin a Brighton ha passato 5 anni, e nella sua sempre fervidissima scena musicale ha trovato quelli che sono diventati i suoi compagni di band. Il debutto come Porridge Radio risale a quattro anni fa, un’eternità per una band agli esordi, ma era da almeno un anno che il loro nome circolava insistentemente tra quelli da tenere d’occhio, complici anche tre pezzi rilasciati nel corso del 2019 e che ritroviamo in questo nuovo LP.
Il primo album, “Rice, Pasta and Other Fillers”, aveva dato un assaggio delle coordinate del quartetto: chitarre elettriche nineties, attitudine punk bilanciata da un irresistibile desiderio di hit radiofoniche. Consideratelo poco più di un demo, roba da collezionisti: “Every Bad” è il loro vero esordio, il disco che finalmente rispecchia quello che da tempo avevano in testa. Gli ingredienti non sono cambiati più di tanto, ma la combinazione stavolta è fulminante: si ritrovano la malinconia sardonica delle Goat Girl e l’ironia surreale di Courtney Barnett, la potenza delle Savages e l’irruenza degli Idles. Rimangono una guitar band, ma sono soprattutto voce e basso che ne definiscono il sound.
Il modo di cantare di Margolin non è facile da inquadrare, dalle urla rabbiose alle melodie slacker, con la costante di liriche sempre perfettamente intelligibili eppure contraddittorie. Nell’opener “Born Confused”, la frase “Grazie per avermi reso felice” viene ripetuta non meno di trenta volte, come un mantra mai uguale a se stesso e che costringe a interrogarsi su cosa davvero voglia dire. “Il significato cambia tutte le volte per me. Mi piace l’idea di qualcosa così mutevole e autocontraddittorio che può significare cose diverse nella stessa frase.”[1]
“Sweet” “” da gustare guardando il bellissimo videoclip “” è una moneta a due facce: punk incendiario e delicatezza pop in perfetta alternanza, punteggiati da due note sinistre e lynchiane di un pianoforte giocattolo. Georgie Stott, responsabile delle tastiere, è la componente musicalmente più enigmatica della band: una delle prime fan delle canzoni di Margolin, passata dall’urlare i testi a squarciagola sotto il palco ad accennare seconde voci al suo fianco, suonando elementari linee di synth che nella loro semplicità aggiungono una quarta dimensione essenziale per questi brani.
Il drumming di Sam Yardley è molto malleabile e riesce a seguire agilmente i continui cambi di passo, dal charlie in levare di “Long” all’incedere marziale di “Nephews”. Maddie Ryall al basso crea linee raffinate che potrebbero spesso sostenere da sole l’intera canzone, come appare evidente in “Give/Take”, che sembra uscita da un disco dei Fontaines D.C. o dei Murder Capital. Sopra a tutto questo il flusso di coscienza di Dana Margolin continua vitale, ricco, inarrestabile: “Non so cosa voglio / Ma so cosa voglio” ripete allo sfinimento in “Don’t Ask Me Twice”.
L’ultima parte di “Every Bad” si adagia su atmosfere più sognanti: il violino e le chitarre riverberate di “Lilac”, il valzer fanciullesco di “Circling”, l’autotune robotico di “(Something)”, originariamente concepito come backing vocal e poi estratto in pezzo a sè stante. La chiusura è affidata a “Homecoming Song”: meno di tre minuti che riportano alla mente gli Xx come i London Grammar, spogliati di ogni patina luccicante. La produzione è perfetta senza mai essere in primo piano, sono canzoni illuminate di luce naturale, su pellicola analogica, della quale vediamo la grana nelle ombre e la saturazione nei colori.
Metà della band ora vive a Londra (“un posto orribile”[2], a sentire Margolin), hanno firmato per l’etichetta americana Secretly Canadian e li aspetta il primo tour negli USA, insieme a Car Seat Headrest. Ma in questo disco è rimasta molta di quella salsedine, di quella testarda cocciutaggine del mare di Brighton, sereno e implacabile. “Non siamo più una band DIY”, ha detto Margolin, “Amo ancora quel mondo ed è pieno di persone fantastiche, ma vogliamo che questa band diventi il nostro lavoro”[3]. I Porridge Radio si trovano in quel momento magico in cui il mondo si è accorto di loro, mentre loro sono pronti a tuffarsi nel mondo. Di certo, nulla sarà più come prima: “Le onde continuano a infrangersi / Non tornerò mai indietro.”
Credit Foto: El Hardwick