Ci sono voluti ben sette anni per avere tra le mani il nuovo attesissimo lavoro del trio gallese degli Islet. Questo “Eyelet” segue l’ottimo sophomore del 2013 “Release By The Movement” e vanta una produzione homemade contornata da aneddoti “familiari”.
Il disco, invero, è stato registrato in casa tra i colli del Galles pochi mesi dopo la nascita del secondo figlio di Emma e Mark Daman Thomas. Nello stesso periodo Alex Williams ha perso la madre ed è poi venuto ad abitare nella casa dei suoi due compagni di merende e, nello stesso tempo, chiamando Rob Jones (Pictish Trail, Charles Watson) per la produzione dell’album.
Diciamo sin da subito che “Eyelet” è di sicuro il migliore dei tre finora pubblicati dalla band, un album dalle atmosfere psichedeliche avvolte a loro volta da una architettura elettronica di rara eleganza sorretta dalla voce eterea e sensuale di Emma.
Questo 2020 dal punto di vista delle produzione musicali si sta dimostrando veramente sorprendente, una mole di dischi di livello altissimo come lo è questa perla della band anglossasone.
Ben vengano momenti di attesa così lunghi se i risultati sono questi, undici tracce per quasi quarantatre minuti di puro godimento, una serie di brani ipnotici, una track list immersa in un pop lisergico dove le sperimentazioni non lasciano nulla al caso, tutto è incastonato in una pressochè perfetta cura degli arrangiamenti.
Non c’è un brano che si lascia preferire in maniera netta rispetto agli altri, tutti gli episodi sebbene segnati dallo stesso leitmotiv si riverberano ognuno con un proprio sound caratterizzante, rendendo “Eyelet” un album poliedrico.
Le note della oscura opener “Caterpillar” fungono da intro ai successivi capitoli del disco che con la magnificenza della successiva “Good Grief”, scelta come singolo, si adagia su un sound incantato e rilassato e la magnetica voce di Emma riporta alla memoria le ovattate atmosfere portate da Emiliana Torrini con i Thievery Corporation.
Sulla stessa lunghezza d’onda si posiziona il connubio vocale di Mark ed Emma in “Treasure” mentre di spiccato stampo electro-pop si stagliano i synth di “Sgwylfa Rock” e “Clouds”.
Nel mezzo della tracklist il disco raggiunge il suo apice con lo spettacolare mood orientaleggiante di “Radel 10”, che prende spunto da “The Good Immigrant”, una antologia con testi di vari autori britannici afferenti alle minoranze dove è la voce esplosiva di Emma Daman Thomas a fare la differenza. Anche nei quasi sette minuti del variopinto sound di “Geese” sono presenti riferimenti letterari; il brano è ispirato al romanzo del teorico culturale gallese Raymond Williams, “People of the Black Mountains”, ed è caratterizzato da un continuo cambio di tonalità su di un corposo loop di batteria.
Nella parte finale del full-lenght si posizionano “Florist” con il suo pop sperimentale che mette in risalto un perfetto intreccio tra synth e proprietà vocali e “No Host”, arrabbiata e dai toni malinconici.
Tra le due appena citate si innesta la cupa e oscura “Moon” con il suo suono denso e accigliato mentre spetta ai tre minuti della closing track “Gyratory Circus”, dal delicato sapore di una ballad, chiudere il sipario di questo eccezionale “Eyelet”.
Un disco che si eleva ad ogni ascolto nel quale è incredibile scoprire dettagli sempre nuovi, merito delle qualità compositive del trio gallese il quale, complice la catartica e grintosa voce di Emma, è riuscito a confezionare un disco che senza ombra di dubbio diventerà una pietra miliare per i seguaci del genere e non solo.