La compagine di Glasgow composta da Cal Donnelly, Chris White, Jack Mellin, Sean Armstrong e Rachel Taylor ripropone con “Hyacinth” le medesime valide tonalità dell’album del debutto “Permo” del 2017.
Questo sophomore, invero, non sposta l’asticella nè in avanti ma neppure indietro confermando quel mood talvolta solare e schietto come in “Feel You More Than World Right Now” altre volte intimista e nostalgico presente ad esempio in “Despotic Sway” il tutto, comunque, di chiara matrice easy listening.
La voce variopinta di Armstrong assume una direzione predominate laddove si rivela sgraziata come nel singolo “Ghosting” quasi sofferente come invece in “The Long Heights” mentre l’apporto del neo acquisto Rachel Taylor regala una delicata melodia con “Black Cat”, segnando il miglior episodio del disco.
Le undici tracce immediate e catchy seppur svolgono egregiamente il compito di intrattenere nei quaranta minuti, in realtà non mettono a segno il colpo vincente, l’ace della situazione e alla fine della fiera non rimane nient’altro che ottimi arrangiamenti (“Get High”, “Laughing Ways” e “Soul Trader”) ma di certo non memorabili.
Il disco non è affatto mediocre e risulta originale anche se durante l’ascolto il sound nel complesso mi ha riportato alla memoria lo space-pop nella derivazione jangle dei The High Dials di “War of the Wakening Phantoms” e gli Shout Out Loud di “Howl Howl Gaff Gaff”.
La scelta quindi di rimanere sullo stesso terreno dell’esordio senza osare di una virgola ha condotto la band ad un risultato soddisfacente e comunque di buona fattura ancorchè di questi tempi è essenziale quanto doveroso mettere in chiaro le proprie doti, almeno quelle fatte sentire con “It’s Alright”.
Ci vediamo alla prossima.