Eccolo, il primo album dei Sorry. E curiosità ed attesa sono state ripagate.
Il duo inglese con questo esordio “925” piazza infatti un lavoro intenso, magnetico, a tinte plumbee ed a tratti grifagne e spettrali, variegato ed al contempo falotico, seducente e provocante, che non può lasciare indifferenti. Perchè per quanto nel calderone ci sia tanta roba, e quindi una propria peculiare personalità verosimilmente ancora da trovare, ad emergere è soprattutto la qualità .
E sebbene l’offerta abbia l’odore dei giorni nostri (e non si ricerchino nei testi particolari virtuosismi), evidenti sono i riferimenti e gli agganci al passato, spaziando senza paura e con disinvoltura dal post-punk allo psychobilly, passando per la new wave più sbandata e l’alt-rock di matrice 90’s melodico ora, dalla livrea maggiormente sconclusionata adesso. E laddove per Asha Lorenz e Louis O’Bryen si sprecano in giro i soliti immancabili paragoni con predecessori più o meno recenti (dai Garbage ai Tears for Fears, fino ai The Kills, i The Xx o ancora – addirittura?- le Elastica), ridurli a semplice epigoni sembra invece inopportuno, e il tempo ci dirà se persino riduttivo.
In presenza di lavori come questo, ritengo non sia il caso di andare a scribacchiare, catalogare didascalici o persino a sindacare sulla fattura, sugli influssi, sui punti deboli e quelli forti del disco, sulla resa: la cosa migliore che vi consigliamo di fare con questo “925” è quella di ritagliarvi i tre quarti d’ora necessari per mettersi un paio di cuffie di qualità o vicino a delle casse altrettanto valide, e premere play. Saranno forse i primi, ma probabilmente non gli ultimi 45 minuti che gli avrete dedicato.
Photo credit: Sam Hiscox