Cinque anni di silenzio tombale non sono bastati per far svanire nell’oblio i My Dying Bride. La storica band guidata dal cantante Aaron Stainthorpe, sopravvissuta a sofferenze familiari e defezioni di peso, riemerge dalle tenebre con un album che, tanto per cambiare, è un monumento in metallo pesante alla tristezza e alla malinconia.
“The Ghost Of Orion” segna alcune importanti novità per il quintetto britannico che, terminato il contratto con la Peaceville Records, è passato a far parte della scuderia Nuclear Blast, sempre più label sovrana nell’ambito della musica estrema. Il cambiamento principale riguarda l’approccio stesso al doom metal: non una cosa di poco conto – anche se forse non si tratta di un fattore in grado di destabilizzare realmente l’ascoltatore.
C’è un parziale depotenziamento del ruolo del riff classico, quasi mai considerato spina dorsale dei pezzi, che lascia campo aperto alle numerosissime sovraincisioni delle chitarre armonizzanti registrate dal solo Andrew Craighan. Sul fronte melodico, il lavoro è realmente mastodontico. Il cavernoso growl di Stainthorpe prorompe tra le gelide note di “The Long Black Land” e “Your Broken Shore”, ma assai raramente ruba l’orecchio. è il cantato pulito l’assoluto protagonista delle otto lunghissime tracce di “The Ghost Of Orion”: strati di voci si accumulano in perfetta sintonia, dando vita ad atmosfere quanto mai gotiche ed eleganti.
Toni più soft rispetto ai dischi precedenti? Sì e no. Se siete amanti delle prime uscite degli anni ’90, probabilmente lo considererete uno degli album più accessibili ed “educati” mai realizzati dai My Dying Bride. Lanciare accuse di alleggerimento o annacquamento del sound, tuttavia, sarebbe una follia: meglio parlare ““ tanto per usare un termine abusatissimo ““ di maturità .
Con la vecchiaia questi campioni della mestizia si sono fatti più saggi, abbracciando sonorità epiche, solenni, romantiche, celtiche e dannatamente dark. A rendere il tutto un po’ più dolce e classicheggiante, il violino del giovane Shaun MacGowan. A lui e alla violoncellista Jo Quail il compito di chiudere il disco con la breve “Your Woven Shore”, un piccolo quadretto di raffinata inquietudine che ben rappresenta i nuovi My Dying Bride.