Era uno degli album che più aspettavamo per questo 2020 ed ora è finalmente realtà : “The Bonny”, secondo lavoro sulla lunga distanza dello scozzese Gerry Crosbie, aka Gerry Cinnamon, esce via Little Runaway.
Anticipato da ben 6 singoli piazzati con intelligente cadenza dal Giugno scorso ad oggi , “The Bonny” non poteva che essere la conferma del talento del songwriter britannico: uno che, d’altronde, da “Erratic Cinematic” del 2017 in poi inanella sold out nei palazzetti come niente fosse, con lo stesso entusiasmo con cui riempiva pub e locali fino a qualche mese prima; che da artista spalla sta diventando inesorabilmente nome di punta, almeno in Scozia (da noi, per ora, quasi un carneade…) dove ogni sua uscita vola dritta nei piani altissimi delle charts. Forse oltre le proprie più ottimistiche previsioni e volontà , orgogliosamente indipendente, schivo e schietto com’è.
Il ricettario del Nostro è essenziale: melodie dirette e senza svolazzi, struttura tipica verse-bridge(all’occorrenza)-chorus, accento marcatamente scottish per una voce che, no, non ha niente di eccezionale ma migliora col tempo, genuina, spontanea giacchè positivamente rustica, con la chitarra acustica che fidata accompagna ogni singolo brano. Accordi ed arpeggi a loro volta semplici, che inevitabilmente, proprio perchè lontani dall’esser sofisticati, non potranno non richiamare mille ed altre cose del passato. Pochi fronzoli, orpelli ancora meno, anche se era quasi lecito aspettarsi che qualche ornamento qua e là trovasse collocazione: ecco quindi tocchi d’archi, l’amica armonica, una batteria d’accompagnamento mai invadente così come il basso che alla bisogna rafforzano la ritmica, qualche backin’ vocal e una pedaliera, al massimo.
Ballate senza tempo quelle di Cinnamon, che non di rado si trasformano in gemme sing-along che i fan non tarderanno (se non già fatto, almeno in parte) ad imparare a menadito e ad intonare partecipi ai suoi prossimi concerti. Ballate su sentimenti semplici, problemi quotidiani (come il suo rapporto con l’insonnia, in “Head in The Clouds”), su piccoli viaggi col pensiero che spesso sfociano nello storytelling e nel favellare, che si lasciano bagnare dal country o dal tex-mex d’oltreoceano (la titletrack, “War Song Soldier”, “Mayhem”), che ammiccano (più)al pop-(che al)rock senza paura di snaturarsi (“Sun Queen”, “Where We’re Going”).
Gerry Crosbie si conferma una delle figure più autentiche del panorama musicale britannico, senza bisogno alcuno di andare a cercare nuove strade sonore e stilistiche, giocate d’effetto et similia. Fa quello che sa fare meglio perchè gli riesce tremendamente bene, appassionato e sincero com’è: d’altronde, come canta in “Canter” <…the hardest part of the game/ Isn’t even playing the game/ It’s caring enough to care about playing the game>.
Applausi convinti. Continua così, Gerry Cinnamon.