Anni di silenzio e poi, così, in questo momento storico senza precedenti, Fiona Apple ci regala il nuovo album.
Sto scrivendo mentre tutti, chi più chi meno, già gridano ad una specie di miracolo, di un capolavoro fuori da ogni possibile definizione. Io non penso nulla di tutto questo. “Fetch the Bolt Cutters” per me è sangue, nient’altro che sangue che difficilmente si rapprenderà presto. “I want You to Love Me” apre le danze e, ruffiana, ci regala il solito saltellio pianistico che non ti dà punti di riferimento, se non i tasti sfiorati con delicatezza all’inizio, mentre la voce ti sussurra con saliscendi continui e si trasforma come solo Fiona sa fare, in carta vetrata che ti graffia il cuore. “Shameika” ti confonde con jazzati storti non dando mai direzioni in un susseguirsi di montagne russe. E’ pop? Jazz sperimentale? Art Rock? Non lo so, ma sento tantissimo trasporto.
La title track gioca su dissonanze percussive, una base sonora scarna perchè esiste solo la voce che tesse trame in libertà senza nessuno schema. “Under the Table” è dadaista, surreale, una filastrocca infantile irresistibile. L’ascolto, vi assicuro, non è facile. Fiona pare che abbia preso una “Happiness is a Warm Gun” qualsiasi e l’abbia dilatata scomponendo musica e parole, decostruendo melodie e creando una lunga suite scomposta, intimamente sanguigna, ma priva di sprazzi solari e/o opportunamente catchy. “Relay” ne è esempio lampante così come la poco rassicurante e circense “Rack of His”, che però non lascia il segno.
“Newspaper” parte sinistra, inquieta, procura fastidi diffusi e la voce di Fiona continua a martellare, rimproverare, scavare senza concessioni a pause o risvolti accessibili all’orecchio. Incantabile, nel modo più assoluto. Siamo a metà disco e dovrei già dirvi il bello e il buono, o il contrario. Vi dico che non ho capito Fiona dove vuole andare a parare, questo lo posso dire. “Ladies”, con tutto l’impegno di questo mondo, ad un certo punto mi tedia perchè quasi sei minuti sono troppi nonostante la voce della mia dea che canta di pancia come sempre. “Heavy Balloon” sublima elementi art rock e rumori da camera in egual misura mentre “Cosmonauts” ci riporta su trame jazzate con un contrabbasso che accompagna Fiona che gorgheggia saltellando tra nuvole di zucchero e nevrosi in musica.
Ne mancano tre e io compendio tutto parlando di “For Her”, con una triplice folle voce che si arrampica su una base percussiva minimal e dipinge un paesaggio da Alice in Wonderland che a 1.40 si spezza senza pietà regalandoci una scala per un paradiso che non è mai troppo azzurro. Se di pazzia devo parlare, beh “For Her” è da manicomio.
“Drumset” è scomposta, straordinariamente ordinaria se mi riferisco al mondo di Fiona, ma totalmente slegata dalla realtà . Ecco, resta solo “On I Go”, ma ne taccio perchè vorrei cercare di arrivare a una conclusione, mentre qualcuno magari vorrebbe un voto. Se di integrità parliamo, credo che Fiona Apple sia l’artista più coerente e integra di tutto il panorama musicale, se di genio parliamo, Fiona ci ha dimostrato di averne a iosa, se di musica “comprensibile e fruibile” parliamo, allora questo disco di fruibile ha poco o nulla. Qua non troverete melodie corpose e memorabili, qua troverete solo graffi, calci nel culo, sangue e sensazioni fortissime, emozioni messe a nudo senza nessun filtro perchè Fiona Apple è questo; non è Lana Del Rey o Billie Eilish. Fiona Apple ti parla direttamente al cuore in una lingua che probabilmente faticheresti a capire se non ti ci abbandoni e se non abbandoni i soliti codici.
“Fetch the Bolt Cutters” è una tela tagliata, lacerata e se provate a passare le dita tra le fessure ne restate avvinti e interdetti. Lode al coraggio e alla scrittura, non lode alla presenza di due, tre brani sopra le righe e francamente di troppo. Fiona ti amo e sempre lo farò, ma non sei da 10. E neanche da 9, perchè darti un voto così andrebbe contro tutto quello che questo disco professa e col quale dovremo fare i conti ancora per un po’, cercando di capire se possiamo seguirti.
Photo courtesy of Epic Records