Sono più di sei anni che i Man Man non si fanno ascoltare con un nuovo lavoro, non che Ryan Kattner motore propulsore della band nel frattempo sia stato con le mani in mano, tra varie collaborazioni musicali, partecipazioni in qualità di attore in film indipendenti e docu-film ( “Woe”, ” So It Goes “, “Use Your Delusion” ), realizzatore di una serie animata, scrittore di sceneggiature di film e graphic novel, direi che si è tenuto impegnato.
Nel frattempo però è riuscito a ritagliarsi del tempo per scrivere i ben 17 pezzi nuovi che compongono questo inedito album per la Sub Pop Records: un lavoro, diciamolo subito, validissimo, che in questo periodo cosi particolare è proprio quello che ci voleva, frizzante, a tratti scatenato (o che ti fa scatenare), con tanta carne (strumenti) al fuoco, che ti fa viaggiare (con la fantasia) e con arrangiamenti veramente divertenti.
La produzione è stata affidata all’amico e fedele collaboratore Cyrus Ghahremani, mentre al mixaggio è stato chiamato S. Husky Höskulds già al lavoro con nomi del calibro di Norah Jones, Tom Waits , Mike Patton, Solomon Burke, M83, DIIV, Paramore, per un lavoro che indubbiamente rilancia la band.
Il breve brano strumentale di apertura “Dreamers” introduce a “Cloud Nein”, che avevamo apprezzato come primo singolo accompagnato da un bel video, e che dimostra la capacità di Ryan Kattner nello scrivere grandi pezzi con potenzialità pop, c’e’ da dire che nell’album il pezzo cambia rispetto alla versione del singolo, è diverso, ma a mio avviso anche migliore.
Con “On the Mend” muove la canzone su note da cabaret, che vengono completate e superate quando si aggiungono gli altri strumenti a riempire il tutto, per creare un insieme che da l’idea del sound pieno e strumentale che troveremo in gran parte dei brani.
Trovare dei pezzi che non mi piacciono è davvero difficile. “Lonely Beuys”, che si muove sulle note del pianoforte (che possiamo dire domina la parte compositiva dell’album), è una bella canzone, dedicata a Joseph Beuys, artista concettuale tra i più influenti del dopoguerra (si poneva come obiettivo la trasformazione della cultura occidentale in qualcosa di pacifico, democratico e creativo attraverso una visione ampliata e consapevole dell’arte).
“Future Peg ” lo avevamo ascoltato come secondo singolo e si può ripetere quello detto per “Cloud Nein”, bel pezzo pop capace di farti alzare e ballare, seguito da “Goat ” che ci fa piombare in mezzo al deserto, dove un fiato jazzeggiante ci accompagna mentre ci troviamo a dover fronteggiare una malefica capra.
Stiamo per soccombere ma ecco che ci ritroviamo fortunatamente catapultati su una spiaggia con i Man Man che ci cantano “Inner Iggy” mentre sorseggiando un cocktail dal tavolo vicino una delle Coconuts ci fa l’occhiolino e Kid Kreole ci saluta, insomma, ripetiamo, l’album perfetto per viaggiare, almeno con la fantasia, arrivato proprio nel momento giusto.
I pezzi si mantengono interessanti anche quando il ritmo si abbassa come in “Hunters” o in “Animal Attraction “, molto elegante e che dimostra la grande capacità di Ryan Kattner e dei suoi musicisti e collaboratori di valorizzare la potenzialità melodica dei suoi brani. Si giunge così verso la fine, devo dire senza stanchezza, ma con la voglia di ascoltare ancora tutto, venendo premiati da brani come “Sheela” e soprattutto “If Only” con il pianoforte, i fiati leggeri e la voce quasi sussurrata di una delicata Dre Babinski degli Steady Holiday a completare un lavoro davvero ben riuscito.
E’ un album che si segue con piacere fino alla fine senza annoiarsi, e di questi tempi è già molto: tra gli ascolti più piacevoli e divertenti che ci potesse capitare in questo assurdo periodo.
Photo credit : Dan Monick