L’uscita di un nuovo album dei Katatonia non poteva capitare in un momento migliore. O peggiore, che dir si voglia. I maestri del progressive metal più triste e dolente tornano a sconquassarci l’anima con le dodici tracce di “City Burials”, un lavoro abbastanza impegnativo che di certo renderà più amare le vostre giornate post-isolamento.
La pandemia di COVID-19 vi sta privando di ogni tipo di certezza e il futuro vi sembra sempre più buio? Beh, se avete bisogno di musica in grado di tirarvi un po’ su di morale, fuggite a gambe levate da questo disco. La band di Jonas Renkse, reduce da una pausa creativa protrattasi per quattro anni, non ha alcuna voglia di farci sorridere.
Le canzoni di “City Burials”, tanto per cambiare, affondano le proprie radici nelle lande desolate di una depressione cupissima ma al tempo stesso quieta, considerando la totale assenza di quella pesantezza sonora che ai Katatonia delle origini non mancava. Di album in album, lo spirito doom metal del quintetto svedese è andato affievolendosi, lasciando campo aperto a un rock progressivo che non disdegna incursioni nel dark e persino nell’elettronica, anche se in toni assai lievi.
Alcuni passaggi di “Lacquer” e “Vanishers”, così come la brevissima ma splendida “Lachesis”, risentono dell’influenza del trip hop più oscuro e gotico. Le chitarre e i riffoni di “Heart Set To Divide” e “Fighters”, uno dei brani più heavy in scaletta, sembrano quasi confinati in ruoli di contorno. I Katatonia di “City Burials” non rinunciano ai suoni rocciosi ma prediligono l’eleganza; ci regalano melodie sofferte, conturbanti ma non prive di una certa capacità di far presa, come ben testimoniato dai ritornelli di “Behind The Blood” e “Flicker”, probabilmente scritti con l’intento di guadagnarsi qualche passaggio radiofonico.
I fan duri e puri apprezzeranno, ma è difficile aspettarsi reazioni entusiastiche da parte dei semplici estimatori: il nuovo lavoro dei Katatonia seduce ma non conquista. Tanta classe e poco altro.
Photo credit Ester Segarra