Già dal titolo, si capisce bene quanto Miglio abbia le idee chiare sull’atteggiamento da adottare nei confronti del pubblico di massa: “Pornomania” si rivela spartiacque efficace a discernere la lana dalla seta attraverso lo strumento della provocazione – perchè, nell’era della contraffazione, dire qualcosa di vero non può che suonare come provocatorio -, che da mercoledì scorso (giorno dell’uscita del brano) sembra aver cementificato ancor di più la credibilità artistica della cantautrice lombarda; con coraggio, Miglio ha fatto intorno a sè piazza pulita dei residui di moralismo e perbenismo, spesso nascosti e ben arroccati – in più o meno piccole quantità – nei giudizi di tutti noi, ribelli da cortile.
Miglio parla di corpo e lo fa attraverso il linguaggio del corpo, raccontato con parole che sembrano a loro volta corporizzarsi senza paura di calcare la mano, laddove necessario a farci sentire ancora qualcosa: non c’è pesantezza o imbarazzo in “Pornomania”, che in fondo altro non è che il racconto di un amplesso romantico, incapace di scadere nella volgarità – per quanto, dopotutto, sarebbe il caso di cominciare a riflettere anche sul concetto di volgarità senza pregiudizi di sorta – perchè appassionato, vero, umano; non v’è niente di più naturale del nostro corpo, e imparare ad amarsi vuol dire anche saper trovare il coraggio di raccontare la nudità dell’amore e del sesso senza avvertire il giogo della morale.
La potenza di fuoco di “Pornomania” ricorda la Vicario di “Giubbottino”, il piglio musicale “Go Go Diva” de La Rappresentante di Lista, ma impossibile non recepire, nel background autorale di Miglio, l’ascolto di tanta scena underground, quella davvero indipendente e sporca della polvere dei club di periferia, dei palchi di bancali.
E la condanna al pensiero comune borghese, dopotutto, è la stessa rivolta da Lolli alla vecchia piccola borghesia, che un giorno il vento spazzerà via. O almeno, così ci si augura.