E sono dodici gli album dei Magnetic Fields, progetto del poliedrico artista Stephin Merritt che con questa ultima fatica “Quickies” (traducibile nell’italico idioma con “sveltine”) si ferma a soli 28 brani in scaletta. La breve durata dei pezzi fa sì che l’album arrivi al capolinea in 46 minuti, comprendendo la cortissima “Death Pact (Let’s Make A)” e “l’interminabile” “Come, Life, Shaker Life!” che con i suoi due minuti e trentacinque secondi risulta il pezzo più prolisso della compagnia. Quindi, se avete fretta, questo è l’album ideale dei Magnetic: in tempi passati abbiamo assistito al parto di “69 Love Songs ” e “50 Song Memoir”, album che già nel titolo portavano il seme della sfida.
Stephin si fa accompagnare dai soliti collaboratori, Claudia Gonson e Shirley Simms (alternativa femminile alla voce baritonale del leader), Sam Davol e John Woo. Ventotto brani registrati con un bel ventaglio di strumenti a supporto del cantato, strumenti a dire il vero stravaganti come l’ukelele o chitarre e violini costruiti utilizzando scatole di sigari. Anche i titoli delle canzoni sembrano voler confermare le intenzioni del titolo, imbattendoci nelle “più grandi tette della storia” o a “ubriacarsi di nuovo e divorziare”, magari bevendo “la miglior tazza di caffè del Tennessee” desiderando di avere “zanne e coda”. Rimpiangere di “essere una prostituta” e magari avere un “appuntamento con Gesù” con cui ballare “la canzone della formica” al “ritmo del diavolo” mentre si festeggia la morte di tutti i politici.
Certo, incuriosisce questo fatto del prolungato ascolto del barocco francese da parte di Merritt, musica suonata con il clavicembalo tra l’altro. Il suono dello strumento a corde pizzicate lo possiamo ascoltare nel brano “Because” dei Beatles ma non ne troveremo in abbondanza in “Quickies”. Un assaggio però lo scopriamo nell’introduzione e nel finale di “Rock ‘n’ Roll Guy” con la “chitarra di legno di sigari” a segnare il ritmo. “Rock ‘n’ Roll Guy” ha pure un suono barocco, questa volta a vestire un giro blueseggiante, brani che necessitano dell’interpretazione cupa e profonda di Merritt. “The Boy in the Corner” ha l’atmosfera giusta per condurci in un castello, dove sembra questo brano sia stato registrato (qui Merritt raggiunge il vertice in fatto di tetraggine).
Le atmosfere cambiano, arrangiamenti ridotti al midollo, raramente troviamo più di due strumenti nel singolo brano. “My Stupid Boyfriend” ha un banjo che accompagna un duetto fra Merritt e la Simms, passaggio frizzante e brioso, quasi da musical. “The Day the Politicians Died” è uno dei pezzi più orecchiabili, primo singolo, cantato dalla Gonson accompagnata dal solo piano, un brano che enfatizza la gioia che sfocia da un’ipotetica morte dei politici.
Sono quindi tanti i momenti in cui i nostri gusti musicali s’incontrano con queste piccole e stravaganti gemme compositive, un’atmosfera anni 60 fa da filo conduttore, con sorprese stilistiche eleganti, come le voci sovrapposte di “Come, Life, Shaker Life!” e “She Says Hello”.
C’è molta passione in questo album. Contrariamente a quello che sembrerebbe di primo acchito, dietro quest’album c’è uno studio meticoloso, dalla scelta degli strumenti alle armonie accattivanti, dai giochi melodici alle tonalità . Canzoni che sono piccoli gioielli di costruzione tecnica ma che hanno nell’intuizione di chi le ha pescate chissà dove la vera peculiarità .