Ci sono voluti circa tre anni fra scrittura e gestazione, ma alla fine il nome The Dears è tornato a far parlare di se’, grazie all’uscita di “Lovers Rock”, album che sin dai primi ascolti lasciava intravedere sprazzi luminosi di una ritrovata vena da parte del leader riconosciuto Murray Lightburn.
Piccolo ma doveroso riepilogo: eravamo agli albori del nuovo millennio quando questa multiforme band canadese muoveva i primi passi, guidata dal suo già citato carismatico cantante, le cui corde vocali somigliano incredibilmente a quelle di Damon Albarn. Le analogie con il biondo epigono del britpop non finiscono certo lì, giacchè i Dears, lungi dal voler essere inseriti con facilità nel calderone della nuova ondata di gruppi indie canadesi (sono coevi ad esempio degli Arcade Fire), si muovevano su ben altre coordinate stilistiche, guardando al di là dell’Oceano e pescando a piene mani proprio da quella tradizione inglese che gruppi come i Blur seppero reinterpretare. Inoltre, nei primi lavori dei canadesi era possibile trovare richiami più o meno espliciti (pur declinati in modo personale e assolutamente convincente) anche ai Pulp e ai Divine Comedy.
L’album che li fece indicare tra i nomi da tenere maggiormente d’occhio fu senz’altro l’acclamato “No Cities Left”, che li impose tra le migliori band emergenti a livello internazionale, con la loro commistione di raffinato pop d’autore e reminiscenze anni ’60. Seguirono altre prove dignitose ma anche insanabili crepe attorno al gruppo, presto identificato con i soli Lightburn e la tastierista – poi divenuta sua moglie – Natalia Yanchak.
Quando le luci sembravano essersi ormai spente su di loro, adagiati su un’onesta formula musicale, ecco l’inatteso ma graditissimo colpo di coda, con questo nuovo album, giunto in piena pandemia Covid-19 e che, almeno nelle parole dei due, giocoforza ha finito per risentire dagli umori cangianti e del senso di precarietà che ha afflitto tutti quanti noi.
Compare in organico nuovamente il polivalente batterista Jeff Luciani – era presente nel disco precedente – che porta stavolta in dote con sè due musicisti che lo accompagnano nel suo progetto solista, i quali sono per lo meno funzionali alla causa. L’apporto di Luciani è evidente sin dalla prima traccia, una delle migliori del lotto: la sua batteria domina la scena e sorregge egregiamente la marcia pop di “Heart Of An Animal”. Ma, valore dei singoli elementi a parte, è lampante come la parte del leone la faccia ancora una volta il cantante e polistrumentista, nonchè autore dei testi e delle musiche Murray Lightburn. E’ lui che tiene le redini del gioco e che si muove a proprio piacimento, replicando il leader dei Blur sin dalla desolata e struggente “I Know What You’re Thinking and It’s Awful”, dall’elegante arrangiamento, summa di tre decenni di miglior musica anglosassone.
L’esplicita “Instant Nightmare!”, col suo profluvio di archi, recupera le atmosfere dei tempi migliori della ciurma, discograficamente parlando. Un’elettronica gentile, certo non invasiva, fa capolino nella sognante “Is This What You Really Want?” e, giunti a questo punto, è evidente come sia l’amore l’argomento protagonista numero uno delle intense liriche del Nostro. Incalzante e memore della lezione di Neil Hannon è la successiva “The Worst in Us”, mentre ad alzare il livello di un album certamente interessante ma con pochi picchi emotivi, ci pensa una “Stille Lost” che si mostra nella sua bellezza a-temporale, con tanto di suadente sax a intervallare i proclami di Lightburn.
Il resto della scaletta mantiene inalterato quel sentore di turbamento, che però non è mai opprimente, ma si dipana nelle vele spiegate della raffinata “Play Dead”, a ricordarci come i Dears siano sempre e comunque una band d’alta classe. “We’ll Go Into Hiding” chiude infine l’album con i suoi toni epici e le voci dei due protagonisti che a tratti si sfiorano fino a sovrapporsi; il testo proprio all’ultimo respiro va a richiamare il titolo dell’intero lavoro.
Non sarà un album che cambia le sorti del pop questo “Lovers Rock”, ma di certo ci riconsegna un gruppo in buona forma e che certamente non si è seduto sugli allori. Intendiamoci, i Dears non hanno mai realizzato dischi brutti ma ritrovare questa freschezza compositiva, questa tavolozza così colma di colori dai toni differenti, è senz’altro piacevole e confortante.
Credit Foto: Richmond Lam