Cari lettori, credo che ormai lo abbiate capito: da queste parti amiamo celebrare i compleanni dei dischi. Belli o brutti che siano, non ce ne frega niente; quando si tratta di festeggiare alla grande, ogni occasione è buona. Per commemorare il ventesimo anniversario dalla pubblicazione di “White Pony” ho deciso di superare ogni limite: sono andato al baretto sotto casa a comprarmi una millefoglie e una bottiglia di spumante. Ho esagerato? Ma proprio per niente! L’omaggio a un album di tale livello deve per forza di cose svolgersi in pompa magna.
Questo perchè si è al cospetto di un’opera fondamentale nell’evoluzione dell’alternative metal del nuovo millennio. Un lavoro che i Deftones svolsero col cuore e col cervello, raccogliendo parole al miele a destra e a manca. I fan della prima ora non gridarono allo scandalo di fronte ai cambiamenti e, ancor più sorprendentemente, fioccarono gli ottimi voti da parte della critica. Un fatto di non poco conto per un disco che, magari eccedendo in superficialità , potremmo inserire nel calderone del vituperatissimo nu metal.
A tal proposito, mi piace pensare che sia stato proprio “White Pony” a donare un pizzico di classe e credibilità artistica a un genere che, piaccia o non piaccia, è da sempre sinonimo di rozzezza, quando non persino di violenza. In un’epoca dominata dalla volgarità dei Limp Bizkit e dalla ferocia degli Slipknot, i Deftones scelsero i suoni gentili ma decisi di un crossover ricco di sfaccettature, melodico e sperimentale.
La voce flessibile e particolarissima di Chino Moreno impreziosisce undici brani che sembrano essere stati scritti con l’unico intento di stupire l’ascoltatore, che viene letteralmente travolto dal potere catartico di un alt metal venato di sfumature industrial (la devastante “Elite”), trip hop (le delicate “Rx Queen” e “Teenager”) e post-hardcore (l’energica ma orecchiabilissima “Street Carp”). Pur non abbandonando del tutto la linea dura di “Adrenaline” e “Around The Fur”, con “White Pony” il quintetto californiano decise di vestire abiti diversi.
L’amore di Moreno per gli anni Ottanta – dream pop, shoegaze e new wave in primis ““ è il marchio a fuoco impresso sulla coscia di questo “cavallo bianco” dai movimenti ponderosi e al tempo stesso aggraziati. è l’elemento che conferisce una carica emotiva pazzesca a tre straordinarie ballad o semi-ballad che dir si voglia (“Digital Bath”, “Knife Prty” e “Change (In The House Of Flies)”). è l’ombra che si muove furtivamente tra il rifferama heavy del chitarrista Stephen Carpenter in “Korea” e le note epiche di “Passenger”, memorabile duetto con Maynard James Keenan dei Tool. è la goccia di inquietudine che fa traboccare il vaso di “Pink Maggit”, il finale in crescendo del disco in seguito rielaborato – controvoglia e sotto pressione della label – nel singolo “Back to School (Mini Maggit)”. è la ciliegina su una torta che resta gustosa anche se sfornata vent’anni fa.
Deftones ““ “White Pony”
Data di pubblicazione: 20 giugno 2000
Tracce: 11
Lunghezza: 48:52
Etichetta: Maverick
Produttori: Terry Date, Deftones
Tracklist:
1. Feiticeira
2. Digital Bath
3. Elite
4. Rx Queen
5. Street Carp
6. Teenager
7. Knife Prty
8. Korea
9. Passenger
10. Change (In The House Of Flies)
11. Pink Maggit