Cardo, hai un nome che ricorda la Scozia, l’anagrafe segna la tua appartenenza all’entroterra campano ma le tue scelte ti hanno portato a studiare, vivere e crescere a Bologna. Una geografia dell’anima ben precisa, per un ramingo di razza: ce lo disegni tu, il filo rosso che collega i luoghi della tua vita?
Negli ultimi dieci anni della mia vita sono stato profondamente nomade. Ho studiato in diverse città , vissuto in Toscana e a Napoli, Milano e per circa due anni a Bologna, dove principalmente ho lavorato e mi sono dedicato alla musica. A settembre, con molta probabilità , mi muoverò nuovamente per questioni lavorative e spero di stanziarmi almeno per qualche anno.
La tua natura mobile e irrequieta ti ha portato a vagabondare non solo da una città all’altra, ma anche attraverso esperienze musicali diverse. Io ti ho scoperto, anni fa, come frontman dei Botanici. Cosa è cambiato da allora?
Sì, I Botanici è stato il mio primo progetto musicale, porto i ragazzi nel cuore. Poi, per varie motivi e principalmente per l’impossibilità di far coincidere la vita da band con altri impegni e obiettivi personali, ho dovuto reinventarmi come solista e gestirmi in maniera più indipendente. Ma a livello artistico ho mantenuto la mia essenza, che ora si esprime certo in un genere diverso, ma rimanendo fedele alle mie radici.
Il cambiamento si è fatto sentire anche in termini discografici: Garrincha Dischi con la band beneventana, poi un EP (dai numeri importanti) con Futura Dischi e ora il nuovo corso inaugurato con “Domani” (uscito a fine dello scorso anno) con Dischi Rurali, etichetta indipendente giovane, ma con idee chiare e un roster in crescita. Cosa vuol dire, oggi, fare musica in maniera indipendente, e quanto c’è bisogno di un ritorno alla ruralità , nell’artificio di una scena che sembra brillare solo a ridosso dei riflettori?
Esattamente, un percorso variegato e altrettanto interessante che mi ha arricchito parecchio e mi ha fatto capire tante dinamiche. Oggi fare musica in maniera indipendente significa non illudersi, non snaturarsi e restare sempre se stessi; l’essere indipendente permette anche di sperimentare molto, di confrontarsi e di mettersi in gioco in maniera più intensa, veloce e a volte anche più stimolante. Il passaggio a Dischi Rurali è stato determinato dalla necessità di un ritorno alla naturalezza delle cose, al vero, alla ruralità intesa come una condizione non contaminata, come segnale di un prodotto vero, non artificiale, 100% bio.
Alla fine, quella che doveva essere un’intervista è diventata l’analisi di una metamorfosi, ancora ben lungi dal potersi dire conclusa. Penso al tuo primo singolo con Dischi Rurali, “Domani”: sonorità morbide, intime e quasi “confessionali”, per un brano che sembrava voler sin da subito mettere in luce una parte di te romantica e sensibile che già in “Un Amaro, Grazie” (EP, Futura Dischi, 2019) era emersa, ma certo non in modo così deciso e, lasciami dire, coraggioso se penso alla produzione leggera del brano, quasi ai limiti del minimal.
“Domani” è il brano più intimo del disco, credo che anche per questo faccia un certo effetto: è un pezzo che nasce volutamente ridotto all’essenziale , quasi sussurrato all’orecchio, anche perchè il testo racconta uno degli amori più grandi e sofferti della mia vita, e della voglia di riprendersi da questo dolore. A volte, non riusciamo a cogliere l’essenza delle cose e tutto diventa niente: più ci facciamo ingoiare da questo dolore, più diventa difficile esorcizzare il passato. Quando succede, non resta che voltare pagina e tornare a vivere senza farsi troppe domande, senza pensare troppo. “La vita continua anche senza di noi” diceva Vasco, e io domani non penserò più te.
Poi, qualche mese dopo e in piena bufera Covid, tiri fuori dal cilindro “Unità “: necessità di abbracci e incontri nell’era delle grandi distanze, il tutto in salsa vascorossiana, ma senza cadere nell’emulazione fine a sè stessa. Quanto è stato importante per te riappropriati delle tue sonorità con band, e sopratutto, quanto hai sentito bisogno di “Unità “, nel corso di questa quarantena?
Ovviamente “Unità ” è un pezzo scritto e registrato prima che succedesse la bufera del Covid! Ancora non sapevo, allo scoppio del disastro, quando sarebbe uscito. Trovandomi poi nella condizione di poter e voler pubblicare qualcosa di nuovo, ho pensato ci fosse bisogno di un brano come “Unità “, capace di farsi inno all’abbraccio con mani alzate verso il cielo. Ho capito di aver fatto la cosa giusta quando mi resi conto, con il passare della quarantena, quanto davvero fosse fondamentale restare uniti, in ogni modo, in tutti i sensi.
Terza (e ultima, per ora) tappa del viaggio, il tuo nuovo singolo: provocatorio – ma forse, più provocante – verso un modo che fa del sesso un nuovo tabù, rivestendolo di sovrastrutture e interpretazioni che invece di liberare il corpo lo appesantiscono con bandiere di genere e politica. “Se insisti te lo do” è un inno da addio al celibato peggiore, quello in cui ci trinceriamo dimenticando di divertirci, perchè in fondo l’amore e il corteggiamento sono un grande gioco. A volte, sentendo tante invettive contro la mercificazione del corpo, mi sembra che chi si chiude in slogan violenti sullo sdoganamento della nudità e sulla libertà di far del nostro corpo ciò che vogliamo non fa altro che “mercificare” ancora il corpo stesso come bandiera di qualcosa di altro, di cui spesso il corpo diventa solo un “terreno di scontro”. Cosa ne pensi di tutto questo, e quanto coraggio ci vuole, oggi, per essere esplicitamente “naturali”?
Credo che il modo migliore per abbattere questi tabù sia minimizzarli, quasi prenderli poco sul serio; “Se insisti te lo do” fa appunto questo. Pensiamo alle drag queen che – soprattutto, giocando – hanno abbattuto il tabù del travestimento degli uomini, o almeno hanno contribuito a renderlo più accettabile all’interno della società . Il gioco è e deve essere una naturale forma di linguaggio e un processo di apertura a un nuovo pensiero; chi in “Se insisti te lo do” vede una mercificazione del corpo o una qualsiasi forma di maschilismo non credo abbia capito molto del brano, ma sopratutto di quello che sono come persona e come artista.
Tra l’altro, in accoppiata con l’uscita del singolo, c’è un videoclip, in cui hai osato e non poco.
Sì, non anticipo nulla ma il videoclip è pensato per dare un colpo basso a qualsiasi forma di preconcetto e tabù sull’omofobia, sul sesso, sulla sua esternazione e sul gioco attorno ad esso in tutte le sue forme e sfaccettature; naturalmente, sempre in chiave ironica e provocante. Per me, è un videoclip che potrebbe darmi grandi soddisfazioni. Ma questo lo sapremo più avanti.
Cosa vuol dire, oggi, fare pop? A me sembra che la corrente stia un pò cambiando: i capipopolo di cuori infranti – pronti ad affogare nei gin tonic, mentre scalano le playlist – saranno davvero spazzati via dalla genuinità rurale di un amaro contadino? Credo che la gente, ora più che mai, abbia bisogno di sincerità , e di qualcosa di vero, tangibile”…
Per me fare pop significa provare ad arrivare a un vasto pubblico, anche se nel mio caso mi piace più parlare di cult-pop, che è un sottogenere che in Italia si pratica ancora troppo poco e del quale mi sono con orgoglio offerto come alfiere. Parlando per metafore, sicuramente l’amaro e il vino contadino torneranno a riprendersi la propria fetta di intenditori e di pubblico, sta già avvenendo. Molti vogliono un ritorno alla verità , alle cose semplici e genuine: alla “slow music” se mi passi il termine. Io faccio canzoni secondo principi fondamentali per me, canzoni che non sono pensate per un tempo preciso e che provano a non legarsi forzatamente a trend modaioli.
C’è in corso una grande polemica sulla scarsa attenzione data all’aiuto nei confronti dei lavoratori dello spettacolo da parte dello Stato. E’ anche vero, però, che lo stato d’abbandono in cui versa il settore pre-esiste da prima del Covid, attraverso lo sfruttamento del lavoro in nero, o una certa passività da parte di molti operatori del settore nei confronti di un mondo deciso a non “riconoscere” a sè stesso la credibilità necessaria per definirsi “lavorativo”. Insomma, ora in tanti si arrabbiano, ma prima del Covid le polemiche in merito alla ben diffusa abitudine (da parte di tutti gli attanti coinvolti, attivamente e passivamente) a gestire lo spettacolo in modo quanto meno “maccheronico” non si facevano sentire così tanto…
Le cose che dici sono vere. Certo, la situazione legata all’emergenza sanitaria ha acceso ancora di più i riflettori sulle criticità del settore, ma credo che non bisogna nascondersi dietro a un dito: il mercato spietato sta uccidendo i piccoli progetti, generando un’offerta musicale sempre più piatta e omologata. Le varie figure del settore sono anch’esse vittime di un meccanismo che in primis uccide l’artista, che fatica a guadagnare dai live perchè fatica a suonare (lo streaming, si sa, non dà quasi nulla in termini economici agli emergenti). Utilizzando un termine mutuato dalla storia, descriverei il momento attuale come un drammatico periodo di stagflazione per il mondo della musica, un’inflazione recessiva. Speriamo di riprenderci presto.
Se dovessi consigliarci tre artisti su cui scommettere per questo 2020 (e anche per il futuro, ovviamente), chi diresti?
Cardo ovviamente, ora e per il futuro! Poi vi consigliere l’amico Spumante, secondo me è forte con un buon grado di personalità . E per concludere Spinelli, che mi piace tanto.
Salutaci, e dacci un buon motivo per non fraintendere il nuovo singolo di Cardo.
Un abbraccio a tutta la redazione di IFB, grazie per l’intervista e grazie ai lettori. Ascoltate “Se insisti te lo do” perchè è il pezzo dell’estate di Cardo: irriverente, caldo e divertente. Liberatevi da ogni tabù e preconcetto, giocate, ammiccate, flirtate e godetevi l’estate con giusta leggerezza. Chi vuol esser lieto, sia: del doman non c’è certezza.
Credit foto Armando Dicuonzo