Con “World on the Ground”, quinto album in poco più di dieci anni (se contiamo anche l’Ep “Live at the Troubadour”), la cantautrice americana con base a New York Sarah Jarosz si conferma artista di razza, modificando appena appena il suo apparato musicale.
Se con i dischi precedenti, la cui summa era stata raggiunta col precedente “Undercurrent”, pubblicato quattro anni fa, ci aveva abituato a canzoni dai gentili tratti folk con testi dalle forti tinte autobiografiche, in queste nuove dieci canzoni sembra abbracciare argomenti più universali, per quanto in qualche modo connessi con la sua sfera intima, in particolare riannodando i fili della memoria.
Tanti infatti sono i riferimenti al natio stato del Texas, che emergono tra le pieghe di brani come l’iniziale “Eve”, aggraziata ode alla sua infanzia trascorsa nella piccola cittadina di Kimberley, per non dire del personaggio a lei molto vicino ritratto in “Johnny” o dell’evocativa “Pay It No Mind”, con i suoi delicati arpeggi acustici poggiati su una solida struttura pop country.
Ecco, musicalmente si può ben dire che la ventinovenne Jarosz abbia voluto un po’ smarcarsi dall’immagine della ragazza folk acqua e sapone, per catturare pienamente l’atmosfera che si respirava nella sua sconfinata patria in canzoni in ogni caso dall’impostazione acustica. Degli esempi lampanti (ancorchè convincenti) del nuovo corso ci vengono dati dalla paradigmatica “Hometown”, in cui emerge un’inedita vena narrativa, e dalla ritmata e sinuosa “Empty Square” in cui ci dà sfoggio delle sue innegabili doti di chitarrista. Altrove c’è spazio per i sentimentalismi nella pianistica “Orange and Blue”, a detta di chi scrive il pezzo migliore del lotto, o nell’intensa “Maggie”.
Rimane intatta la classe interpretativa della Nostra in tutte le rimanenti tracce, che se da una parte non fanno registrare cadute di tono o scarti qualitativi con i pezzi cosiddetti “forti”, dall’altra ravvisano anche una mancanza di fantasia della stessa, di quei guizzi che in album dalle simili connotazioni possono fare la differenza.
A conti fatti, qualche frutto della collaborazione di Sarah Jarosz col produttore John Leventhal si è già colto, ma probabilmente il connubio tra i due (che,a detta dell’artista sarà alquanto duraturo, visto come si sia sbilanciata nel definirlo il suo alter ego musicale) è destinato in futuro a regalarci qualcosa di certamente più eccitante ed emozionante.
Photo: Josh Wool