I Codeine possono tranquillamente essere considerati i Joy Division dell’alternative rock. Come la formazione di Ian Curtis sta agli anni ’80, quella di Stephen Immerwahr sta ai ’90.
Formatasi nel 1989 a Chicago, la band era composta da uno scarno trio dove, oltre al leader Immerwahr (basso e voce), figuravano il batterista Chris Brokaw, che schiantava bordate sulle pelli con catalettica ferocia, e il chitarrista John Engle, capace di sintetizzare il metodo psichedelico dello shoegaze con l’emotività del grunge.
In effetti, la loro musica è stata pertinentemente descritta come un “grunge al rallentatore”, e definizioni migliori non sappiamo trovarne. I brani dei Codeine sono pendoli in bilico tra ninne-nanne sussurrate con desolata dolcezza (“New Years”) e incubi dissonanti (“Second Chance”), ma pur sempre eseguiti all’interno dei canoni rock del tempo. Il loro esordio, nel 1990, fu questo “Frigid Stars LP”, a cui fece seguito l’EP “Barely Real” (1992), contenente la loro unica hit, “Realize”, e il canto del cigno di “The White Birch” (1994): la loro discografia consta di appena 25 canzoni in totale.
Qui, gli apici sono “D” e “Cave-in”, epìtomi del loro originale approccio costituito di pause, scoppi improvvisi e ralenti. Questa tecnica verrà chiamata slowcore, genere influente che si imparenterà presto con il cantautorato, ma avrà una filiazione non secondaria anche nell’ala più intellettuale dell’emo-rock. L’umore è di quelli plumbei, patologici. La musica dei Codeine è una negazione dell’armonia propriamente intesa, sebbene riesca a comunicare disagio in maniera talmente dettagliata da sembrare un dossier giornalistico presso un ospedale psichiatrico.
Ascoltate ad esempio “Cigarette Machine”, un algido parlato preso a spallate da riff che sembrano spasmi nervosi, testimonianza diretta della prima semina del post-rock, pericolosamente contigua ai coevi Slint di “Spiderland” (uscito l’anno dopo, registrato in quasi contemporanea). Anche maestri del genere come i Low devono una grossa fetta della loro carriera a questo umile gruppo.
Parallelamente ai Joy Division, i Codeine incisero solo due album: il primo, un funerale dell’anima, considerato il migliore per ragioni di culto; il secondo, con timidi guìzzi di luce, un degno sophomore, oggettivamente quasi equivalente all’esordio. Le strade divergono nel momento in cui Ian Curtis decide che non può sostenere il peso dei propri conflitti interiori, mentre Stephen Immerwahr, come nei tòpoi hollywoodiani, sublima il suo male e ne fa un mestiere. Pare infatti che sia ricercatore nel campo dell’igiene mentale, dopo una laurea in filosofia ed un master in scienze sociali. Ciò che può darti il martirio, può concedertelo anche il tempo, noto galantuomo.
Data di pubblicazione: 15 agosto 1990 (Europa), 1 settembre 1991 (Stati Uniti)
Registrato: Luglio-Agosto 1990, Brooklyn (New York)
Tracce: originariamente 8, 10 nell’edizione americana
Lunghezza: 32:45 (successivamente 41:14)
Etichetta: Glitterhouse (Europa), Sub Pop (Usa)
Produttori: Codeine, Mike McMackin
Tracklist
1. D
2. Gravel Bed
3. Pickup Song
4. New Year’s
5. Second Chance
6. Cave-In
7. Cigarette Machine
8. Old Things
9. 3 Angels (non presente nella prima edizione)
10. Pea (non presente nella prima edizione)