Angoscia, tristezza, bellezza e morte.
Questo è il percorso intimo che si attraversa ascoltando “Facelift”, il primo album degli Alice In Chains.
Tra le band della scena grunge sorta a Seattle alla fine degli anni ’80, ed esplosa mediaticamente e artisticamente a inizio anni ’90, gli Alice In Chains rappresentano la declinazione più oscura.
Il grunge è un genere musicale, e soprattutto un movimento giovanile di protesta, che manifesta un disagio da parte della nuova generazione di tardo adolescenti nei confronti della società , americana in primis. Un disagio avvertito e causato non tanto da ragioni meramente politiche ma a causa delle ripercussioni prettamente sociali che tramite alcune politiche consumistiche e globalizzanti si sprigionano sulle persone, sui cittadini. Alcuni giovani americani (e non solo) alla fine degli anni ’80 si sentono svuotati di contenuto, spogliati dei propri valori civili e umani e buttati a forza in una mischia competitiva dove i più sensibili vengono brutalmente stritolati dalle fauci del sistema, che li rigetta come scorie ai margini della società cosiddetta civile.
I ragazzi di Seattle rappresentano questo disagio in musica sfogando la loro rabbia in un sound hard-rock che può tendere al punk, all’hardcore, alla psichedelia o all’heavy metal. Un sound robusto che sorregge testi profondamente intimisti e liriche melodiche caratterizzate da un malsano colore dei timbri che riesce a sporcare e contaminare la pienezza e la dolcezza delle liriche, rendendole gradevoli ma malate.
Gli Alice In Chains rappresentano il versante musicalmente più strutturato con un’evidente matrice heavy metal e un’ombra dark, che va a coprire senza nascondere, come un leggerissimo lenzuolo, tutta la musica e l’anima artistica degli Alice In Chains.
“Facelift” viene rilasciato il 21 agosto del 1990, anticipato dalla title track: “We Die Young”, e, non nell’immediato, ma nel giro di un anno, ottiene la certificazione “Disco d’Oro” arrivando poi a vendere solo negli USA più di 2 milioni di copie. Il disco esce subito per Columbia, quindi major, e questo è un dettaglio da non sottovalutare e da sottolineare. L’attenzione al fenomeno grunge posto dalle multinazionali e dai media porterà poi infatti a massimizzare e monetizzare sullo stesso movimento di protesta che palesava un disagio arrecato proprio da quel sistema che riuscirà invece, nel giro di poco tempo, a ingurgitare il fenomeno di protesta, rendendolo moda, e quindi normalizzandolo, per poi infine distruggerlo nelle sue fondamenta.
“Facelift” contiene dei brani che sono delle pietre miliari della musica alternativa americana, pensiamo alla già citata “We Die Young” incalzata dalla hit “Man In The Box” che spopolò su MTV.
Da ricordare anche l’inquietante “Sea of Sorrow” e la sinistra e struggente “Love, Hate, Love”.
Il resto dell’album risulta compositivamente un po’ troppo “standard” e “basic“, conformandosi molto alla musica metal e alternative di fine anni ’80. La band migliorerà su questo punto arrivando nel giro di un paio d’anni al capolavoro “Dirt” del 1992.
La particolarità degli Alice In Chains, riscontrabile facilmente fin da questo primo lavoro “Facelift”, risiede nella voce di Layne Staley, capace di trasmettere emozioni e di colpire l’animo dell’ascoltatore con la sua inquietante melodicità , e poi certamente nella chitarra di Jerry Cantrell, che costruisce da solo il muro del suono degli Alice In Chains.
Tra i primi pionieri del grunge, anche gli Alice In Chains, come molti compagni della scena di Seattle (pensiamo ai Mother Love Bone, ai Nirvana“…), saranno martoriati dalla croce della droga che, insieme alla depressione, porterà via il sensibile Layne Staley nel 2002 dopo 8 anni esatti dal suicidio di Kurt Cobain.
Gli Alice In Chains rappresentano, come dicevamo sopra, l’anima più dark e metallara del grunge, coi loro riff spessi e lenti alla Black Sabbath e la voce roca e poderosa di Staley che accompagna e trascina nell’inferno, nel labirinto senza uscita, nella box, chiunque deciderà di lasciarsi andare all’ascolto.
Possiamo serenamente affermare che dopo 30 anni esatti dalla sua pubblicazione ci rimane un disco che ha ancora molto da raccontare. Sì, “Facelift” è un album che svela e rappresenta appieno la vera voce del movimento musicale nato a Seattle alla fine degli anni ’80 nella sua spontanea immediatezza e ricchezza artistica.
Un’eco udibile ancora oggi.
Pubblicazione: 21 agosto 1990
Durata: 54:06
Genere: Grunge
Etichetta: Columbia
Produttore: Dave Jerden
Tracklist:
1. We Die Young
2. Man in the Box
3. Sea of Sorrow
4. Bleed the Freak
5. I Can’t Remember
6. Love, Hate, Love
7. It Ain’t Like That
8. Sunshine
9. Put You Down
10. Confusion
11. I Know Somethin’ (‘Bout You)
12. Real Thing