Di Giacomo De Rosa (e del suo ultimo disco, “Segnali di fumo”) avevamo già  parlato – e con malcelata soddisfazione – qualche tempo fa: l’ascolto della sua ultima fatica discografica, densa di riferimenti e angoli bui pronti a sfuggire al lume delle facili conclusioni, ci aveva impressionato e allo stesso tempo costretto a farci più di qualche domanda in merito a sfaccettature e risvolti di un album dal forte sapore letterario. Ecco, quelle domande – le cui risposte continuavano a sfuggirci – le abbiamo poste direttamente all’autore, e le trovate qui sotto.

Ciao Giacomo, prima domanda spacca ghiaccio (e forse, davvero, la più difficile): come stai?

Salve! Sarebbe umano, specialmente in un periodo come questo, rispondere alla domanda con una tiritera di angosce, ansie e lamentazioni. Mi vengono però in mente le parole di Tolstoj: “Se vuoi essere felice, sii felice”. E allora diciamo che sono ragionevolmente felice.

L’estate sembra aver solo coperto di sabbia il dramma Covid, che sotto le ceneri del recente passato continua a far pulsare il suo cuore pandemico. Come hai vissuto tutto questo stop, e sopratutto cosa ti ha lasciato?

L’ho vissuto come tutti: alti e bassi, pro e contro. Ho avuto molto tempo per suonare, ma ho anche avvertito la distanza dagli amici, dagli affetti e dalle abitudini, da quella che abbiamo preso a chiamare “normalità “. Va detto che eventi così grandi e drammatici rappresentano spesso uno spunto potente per un artista, non foss’altro per la possibilità  di esaminare il comportamento dei nostri colleghi umani nelle sue declinazioni eroiche e in quelle tragicomiche.

Tra l’altro, perchè pubblicare un disco come “Segnali di fumo” in un periodo nero come quello della quarantena? In tanti hanno posticipato le uscite”…

Era un disco maturo, stava semplicemente cadendo dal ramo. A parte la battuta, che poi tanto battuta non è, ho pensato che fosse l’occasione perfetta per raggiungere persone che in quel momento avevano più tempo libero del solito e che bramavano una qualche forma di evasione. Stando ai riscontri, direi che il piano ha funzionato.

Eppure c’è qualcosa, sin dal primo ascolto del disco, che mi fa pensare che la tragicità  del momento sia stata ottimo viatico per il senso del concept”… ci racconti un po’ come nasce e cosa si cela dietro “Segnali di fumo”?

Il disco raccoglie canzoni scritte negli ultimi sei-sette anni, alcune più recenti e altre più datate. Credo però che siano accomunate da un unico filo conduttore, ovvero l’alone di poetico mistero che permea il disco. L’essenza dei segnali di fumo è proprio questa: dire e non dire, accennare, dipingere ma con tratti sfumati. Spetta all’ascoltatore, con l’immaginazione e l’intuizione, il compito di sciogliere l’enigma. E allora i segnali di fumo non sono altro che un messaggio, un messaggio per spiriti affini in cerca di panorami meno convenzionali.

Quanto è importante, secondo te, rieducare il pubblico, riabituarlo all’idea che possa impegnarsi anche nell’ascolto di musica che non sia usa e getta?

Non parlerei di “rieducare”, perchè in realtà  il pubblico è molto più educato di quanto non lo si ritenga: semplicemente, non gli viene data l’opportunità  di dimostrarlo. Riabituarsi, questo lo ritengo fondamentale per tutti, artisti e ascoltatori. Vorrei che provassimo a riscoprire il valore non solo della bellezza ma anche del percorso, spesso faticoso, necessario per raggiungere questa bellezza.

In questo senso, in “Segnali di fumo”, fai resistenza culturale vera e propria: riferimenti letterari, incastri testuali arditi, linguaggi che finalmente attivano il cervello. Hai mai avuto paura, mentre scrivevi i testi, di non essere sufficientemente “inteleggibile”?

Saggia domanda, su cui mi sono arrovellato per anni. Si è trattato di trovare la mia collocazione in un arco che va dal tormentone da spiaggia alla musica da torre d’avorio. Bob Dylan ha detto che dobbiamo sempre essere sinceri verso le nostre canzoni: a mio avviso la sincerità  sta nel rispettare la natura di ciascun brano, senza mai forzarlo verso le mode commerciali o intellettuali. Le canzoni di “Segnali di fumo” sono nate con questa veste, pesando ogni sillaba nel suono e nel senso. La realtà  è che non poteva andare altrimenti. Il resto spetta all’ascoltatore.

Tra l’altro, seguendoti sui social, ho notato che sei un vero menestrello: affabulatore, attore, baccelliere di parola come direbbe il buon Guccini. “Segnali di fumo” credi possa essere davvero il lavoro che ti rappresenta di più? In cosa è diverso (e sei diverso!) da “Il cuore oltre l’Aurelia”, il tuo disco precedente?

La parola è il mio passatempo preferito, direi persino un oggetto d’amore! Dunque, “Il cuore oltre l’Aurelia” è frutto di un lavoro lungo, travagliato e realizzato in larga parte con “mezzi di sfortuna”. Lo definirei un disco di passaggio. Con “Segnali di fumo” ci troviamo di fronte ad un’opera più matura e consapevole, la prima espressione compiuta di un’identità  artistica che ho elaborato nell’arco di molti anni. Aggiungerei che il nuovo album nasce da un lavoro di gruppo svolto insieme a due musicisti straordinari: Marco Baracchino di Vinile Recording, produttore artistico e arrangiatore, e Giacomo Lorè di G.Lab Studio, che si è occupato dei mixaggi.

Tre artisti da scoprire, tre libri da leggere, tre film che non possiamo perderci.

Artisti: Lucio Corsi tra gli italiani, L’Impèratrice tra i francesi, i fratelli Salvador e Luisa Sobral tra i portoghesi. Libri: l’Odissea, per capire che gli antichi erano a volte più moderni dei moderni; “Guerra e pace”, visto che abbiamo scomodato Tolstoj; “Osvaldo ““ L’algoritmo di Dio”, un po’ perchè lo ha scritto mio padre, Renato de Rosa, ma soprattutto perchè è un bel libro. Pellicole: “Hell or high water”, “Zatoichi”, “Hollywood ending”. Poi vi autorizzo a mettere agli atti la seguente confessione: mi piacciono i film Marvel.

Ed infine, l’immancabile chiosa sui progetti futuri. Cosa c’è nel domani di De Rosa?

Pochi giorni fa, ripercorrendo i miei quaderni, mi sono reso conto di avere già  materiale per almeno altri due dischi. In autunno, Covid permettendo, torneremo in studio per lavorare con calma sulle nuove canzoni. Nel frattempo mi sono regalato una lira, strumento meraviglioso con cui mi sto dilettando in questa calda estate: a differenza della chitarra, la lira non è sudorifera.

 

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Giovedì sera @cheyennewolfmusic ed io non ci limiteremo a presentarvi i nostri nuovi album, ma vi racconteremo come nasce un disco. Dalla scrittura delle canzoni alle fasi di registrazione, arrangiamento, produzione e post-produzione, cercheremo di accompagnarvi dietro le quinte del mondo della musica. Lo spettacolo avrà  luogo a Carrara, in Via del Plebiscito, alle ore 22:30, nel pieno rispetto delle norme di distanziamento e sanificazione. Che aspettate? Paracadutatevi a Carrara e cominciate a piantare le tende di fronte al palco! #musica #music #cantautori #indie #carrara #estate

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