Si scrive Feelingenuo, si legge Filippo Niccolai.
Sembra così banale come affermazione (e non me ne voglia il buon Fil, se ho smascherato la sua identità secolare) ma, nell’era della Bugia universale, non la è affatto: la generazione anestetizzata del terzo millennio – sempre pronta a coprire di scotch (inteso come alcolico, poi come nastro adesivo) le ferite senza saper accettare l’insegnamento della frattura e le possibilità della ricostruzione – dà il suo colpo di reni di fronte alle accuse di “plastichezza” e retorica rivolte agli esponenti della scena contemporanea da critici e personaggi austeri in “Che strano”, il terzo episodio della saga Feelingenuo.
E attenzione, perchè la serialità , qui, è evidentemente implicita nel fil rouge che attraversa e trapassa l’ascoltatore di fronte all’ascolto dei tre singoli fin qui pubblicati dal cantautore toscano: facce diverse di una luna introversa ma decisa nel non voler smettere di brillare, anche laddove l’universo buio dei ma e dei forse (in cui ogni ventenne che si rispetti e che si sappia rispettare inciampa) proietta ombre inquietanti su domande meravigliose proprio perchè prive di risposta.
Ogni brano si fa così tassello di un polittico fin qui convincente, capace di dar continuità ad una scoperta doppia perchè nuova sia per noi, pubblico sempre più interessato, che per l’autore stesso: l’ascolto di “Che strano”, oggi, lascia la stessa sensazione che solo gli ultimi capitoli dei migliori romanzi sanno regalare, rafforzando ancor di più l’idea di trovarci di fronte ad una penna pronta a chiudere la propria personale rincorsa al disco.
E se le aspettative saranno rispettate, avremo in mano un Bildungsroman che saprà raccontarci – con disperata sincerità – quanto possa far schifo avere vent’anni, ma quanto sia tremendamente bello avere paura (cit.).
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Che strano, manca poco. Alle cose belle di questa settimana si aggiunge il fatto che, domenica 23 agosto, suonerò un po’ di canzoni al @barlumers. Ci vediamo lì, a distanza di sicurezza 💃