C’erano una volta i Black Hearted Brother capaci di brillare con un unico disco (“Stars Are Our Home” del 2013) per poi sparire dalla circolazione o quasi. Un vero peccato a cui sette anni dopo hanno deciso di porre rimedio alcuni dei musicisti coinvolti in quel bel progetto estemporaneo. Paul Blewett e Nick Holton uniscono le forze con Danny Molyneux, Kevin Wells e la premiata coppia Neil Halstead – Ian McCutcheon (Slowdive, Mojave 3) per un nuovo viaggio tra psichedelia e suggestioni pop.
Gli strumenti utilizzati farebbero la felicità di molti musicofili: oltre alle immancabili chitarre sognanti, basso e batteria, diversi sintetizzatori e tastiere (Moog e Casio pt80) uno stilofono, un minipiano Eavestaff, un organo Tanzanite. Sound orgogliosamente vintage con “Blue” e “R.H.S” che ricordano i Felt di Lawrence Hayward mentre “Hot Power” è la classica cavalcata morbidissima e spaziale. L’unico caso in cui i Moon Attendant si lasciano andare superando i sette minuti di durata in un album che li vede invece più giocosi e meno sferzanti.
“Catch A Train” e “Hammers” strappano un sorriso per il modo smaccato, melodico e riuscito con cui ammiccano alla psichedelia rilassata e colorata dei primi anni sessanta con le chitarre millimetriche che entrano a fine brano a scompigliare le cose. Notevole e immancabile una mini suite strumentale (“Castles Burning”) che apre la seconda metà del disco dove si ascoltano anche i brani migliori: “Sleepy Sleep”, “Lucky Escape”, la caleidoscopica “I Would Like To Teach You”, “Don’t Step Back”.
“One Last Summer” è un allucinato atto d’amore a un periodo musicale e i Moon Attendant si calano completamente nella parte, solidi e ben piantati, precisi e puntuali in un album non esplosivo ma decisamente godibile soprattutto se ascoltato facendo attenzione ai mille piccoli particolari di ogni arrangiamento. Un perfetto esercizio di stile per estimatori del genere e non solo.