E’ stata una lunga attesa quella del nuovo album targato Throwing Muses. Sette anni sono passati da “Purgatory / Paradise” e la pandemia ha lasciato in dote un ulteriore ritardo di tre mesi. Non si sono certo persi d’animo Kristin Hersh, David Narcizo e Bernard Georges che dopo un trentennio di convivenza musicale si conoscono e si trovano a meraviglia.
La voce roca della Hersh, allenata dagli album solisti e protagonista più che mai, torna a calcare territori rock e distorti. Kristin ha definito “Sun Racket” un disco relativamente tranquillo che l’ha comunque costretta a fare i conti con demoni, paure, ricordi, diavoli rigorosamente senz’anima. I quaderni di appunti prendono vita con un tema che ritorna prepotente: l’acqua amica e diffidente, che bagna e scorre pericolosa.
Dieci brani pieni di immagini vivide e oniriche dove Freddie Mercury diventa un pesce rosso, squali minacciosi si aggirano tra le onde di “Maria Laguna”, il “Bo Diddley Bridge” è sul punto di collassare, Dan è ubriaco al piano di sopra e Kristin Hersh sussurra con rabbia segreti inconfessabili. Chitarre che graffiano in “Dark Blue”, abrasive anche in “St. Charles” e “Frosting”.
Armonie cariche di effetti, cupe, dense che travolgono con un minimalismo stropicciato e vissuto. L’assolo di “Kay Catherine” sinuoso e tenace sembra annunciare un finale di calma poi arrivano le Polaroid di “Sue’s” che ipnotizzano con paesaggi malinconici ed è una serenità parziale, che nulla risolve e molto lascia in sospeso.
Indie rock con il cuore blues elettrico, gli estremi si toccano facendo faville. Un sound in bilico tra “forte rumore e suono di carillon” dal trillo dolce e audace che mantiene alta la tensione. “I don’t regret a single drop of alcohol” recita “Milk At McDonald’s”. Nemmeno l’ascoltatore ha rimpianti alla fine di”Sun Racket”. Soddisfacente in ogni singola nota.
Credit foto: Orrin Anderson