Nel 2004 i Sigur Ros del talentuoso Jón àžór Birgisson (conosciuto poi come Jónsi) non sono semplicemente il più famoso gruppo musicale islandese, ma anche tra i nomi da tener maggiormente d’occhio dell’intero panorama indie rock (chè poi una definizione vera difficilmente si addice loro, viste le molteplici peculiarità ).

Sono reduci infatti da un tour mondiale di successo, quello seguito al misterioso e raffinato terzo lavoro in studio (il cui titolo di fatto non esiste, essendo questo rappresentato da due parentesi senza nome all’interno), e hanno già  avuto modo di accumulare esperienze aprendo ad esempio per i Radiohead che, al periodo, appaiono come loro spiriti affini, dopo aver svoltato con gli album “Kid A” e “Amnesiac”, abbandonando così di fatto il terreno fertile del pop.

Facile quindi supporre come l’attesa per il nuovo album del quartetto islandese (che all’epoca contava, oltre che sul cantante e chitarrista Jónsi, sul bassista e co-fondatore Georg Hólm, sul batterista Orri Páll Dà½rason e sul tastierista e polistrumentista Kjartan Sveinsson), nel frattempo passato a una major dopo aver declinato l’offerta per anni, fosse a quel punto assai trepidante.

Gli stilemi del gruppo erano ormai noti, con una musica al più sfuggente, eterea, in grado di catturare qualcosa dai Pink Floyd come a certa musica d’avanguardia e sperimentale (tra post-rock e psichedelia) e un cantato misterioso ed enigmatico per via di un idioma inintellegibile (il vonlenska, o hopelandic, inventato dalla stessa band), oltretutto interpretato dalla magnifica voce bianca del cantante che l’alterna alla lingua madre.

“Takk…” (che in islandese significa grazie) giunge così nel 2005, esattamente quindici anni fa, a ribadire l’importanza e il peso specifico dei Sigur Ros sulla scena musicale internazionale, ottenendo il plauso pressochè unanime della critica specializzata.

Quel che si temeva, vale a dire una commercializzazione della proposta artistica, era stato scongiurato, e se da una parte è vero che le undici tracce che compongono il nuovo lavoro suonano più dirette e immediate rispetto agli album precedenti (in particolare riferendosi a quello più recente, composto anche da lunghe suite), dall’altra possiamo constatare come in realtà  il prodotto sia ancora assolutamente valido, ricercato negli arrangiamenti e nei suoni, oltrechè altamente ispirato.

Le atmosfere sono ancora a tratti rarefatte, sospese e sognanti ma confluiscono all’interno di un apparato più compiuto e circoscritto, con canzoni che per una volta possono in qualche modo vivere di vita propria, e non solo all’interno di un lavoro concettuale ed elaborato.

L’esempio più lampante ci viene dato dal singolo apripista (che nell’album segue la trascendentale traccia eponima): “Glosoli”, corredato da un video come sempre non banale (sul rapporto canzoni/immagini dei Sigur Ros ci vorrebbe un articolo a parte), è costruito su un ritmo pulsante, quasi tribale, che sembra un po’ cozzare con il cantato al solito angelico di Jónsi, il quale culmina su un finale pirotecnico e catartico. La stessa struttura musicale la si può riscontrare in “Sà…glópur” (altro pezzo forte, non a caso uscito come singolo), dove alle malinconiche tastiere introduttive segue un muro di chitarra come mai prima d’ora i Nostri ci avevano abituato.

Per completare la batteria dei brani estratti una nota non possiamo non dedicarla alla placida e solare “Hoppà­polla”, davvero straordinaria e in grado di suscitare emozioni profonde nell’ascoltatore, e in cui una parte rilevante spetta al quartetto femminile delle Amiina, da qualche anno in pieno organico soprattutto nelle esibizioni live.

L’album percorre una vasta gamma di sensazioni e stati d’animo, e sembra proprio che il gruppo voglia togliersi la maschera, delineando testi più semplici per lo più scritti stavolta in islandese; non mancano tuttavia eccezioni nella loro lingua immaginaria, come la struggente ballata “Andvari”, a mio avviso l’apice del disco e in assoluto una delle più belle composizioni della loro carriera sin qui.

C’è ancora l’ attaccamento forte alla propria magica Terra, ciò si evince in episodi sognanti come “Sè Lest”, la cui coda strumentale bandistica è realmente da pelle d’oca, o nell’accorata invocazione di ” Mà­lanó” che, a discapito della casuale omonimia con il capoluogo meneghino, nulla c’entra con esso. Nel mezzo però è evidente anche un tentativo, riuscito, di perlustrare altre forme espressive, in un brano potente e suggestivo come “Gong”, dai tratti new wave sconfinanti poi nel post-punk più vivo e trascinante.

Con “Takk…” i Sigur Ros confermarono quindi le tante belle intuizioni dei lavori precedenti, accentuando semmai la forma-canzone propriamente detta, e lasciandoci in dote una serie di brani destinati a rimanere nell’immaginario collettivo, anche grazie al loro frequente inserimento in spot, serie tv e colonne sonore.

Sigur Ros ““ Takk…
Data di pubblicazione: 12 settembre 2005
Tracce: 11
Lunghezza: 65:27
Etichetta: EMI
Produttore: Sigur Ros, Ken Thomas

Tracklist
1. Takk…
2. Glósóli
3. Hoppipolla
4. Meà° blóà°nasir
5. Sè lest
6. Sà…glópur
7. Mà­lanó
8. Gong
9. Andvari
10. Svo hljótt
11. Heysátan