Angela Iris è un nome ricorrente per tutti coloro che, negli ultimi cinque anni, hanno sondato le più recondite profondità della scena emergente attraverso il lume fioco della fede, tenuto acceso dai lampi di speranza che artisti come Angela sanno regalare a chi ancora non ha smesso di credere nella luce, in fondo a questo buio tunnel di emulazione e isterici ritorni di uguali.
In realtà , dai fondali del pop – da cui è partita la gavetta di Angela, come quella di tutti – la cantautrice monzese è risalita piano piano verso il margine della superficie, abituando il pubblico – anche quello meno curioso e diligente – a trovare il suo nome tra le righe di articoli compiaciuti e programmazioni di festival; con la dedizione dell’artigiano e attraverso il supporto di alleati giovani e aitanti quanto lei (sto parlando di Nati, il produttore delle ultime releases di Angie, ma anche di Atena Dischi, neonata ma gajarda etichetta guidata da Davide Lucarelli), la cantautrice ha tirato su una bella torre d’avorio nella quale rinchiudersi non è certo l’obbiettivo, ma che sta aiutando la scrittura e l’espressività di Angela ad ergerla dalla fanghiglia dell’anonimato, aprendone possibilità e visione d’insieme grazie alla lungimiranza di scelte artistiche spesso audaci, perchè raramente allineate.
Ecco, questa è la prefazione necessaria per presentare “Un Bel Guaio”, il nuovo EP della giovane artista brianzola che da qualche settimana sta facendo il giro delle playlist Spotify e dei cervelli – buongustai! – italiani; il nome di Angela, infatti, è stato subito inserito tra i protagonisti di Scuola Indie e New Music Friday (due dei principali contenitori del colosso svedese che ormai ha assunto il monopolio del mercato, fino a dettarne le regole), forte del cavallo vincente di una produzione elegante, che sa districarsi dai rovi del mainstream senza perdere appetibilità con il contemporaneo e pur mantenendo la sua pretesa di essere outsider, come Angela è.
“Guaio” apre il viaggio musicale dell’EP, e lo fa attraverso la tenuta stagna di un brano solido, efficace e rotondo nel saper rotolare per tutti i tre minuti e mezzo della sua radiofonica durata: l’inciso spinge, e si fissa subito nella testa di tutti, anche di chi si trova in fila al supermercato o aspetta l’estrazione dell’ennesimo dente cariato. Insomma, un brano democratico e accessibile che tra le pieghe della sua fruibilità cela l’intimità della confessione, perchè Angela rimane sè stessa per piacersi e piacere: laddove non c’è inganno – nell’era della menzogna istituzionalizzata – l’emozione arriva senza bisogno di troppe sovrastrutture, e se poi su un brano ben scritto aggiungi l’efficacia di una produzione intelligentemente pop il gioco è fatto, e virtuosamente.
Idem per “Orecchio” e “Gatto”, già fuori come singoli negli scorsi mesi e con discreto successo di ascolto e attenzione, mentre “Pois” riporta il baricentro sugli ascolti più tradizionali di Angela: tanta ribellione allo stereotipo femminile in un brano che non ha paura di essere rock – quasi alla Loredana Bertè – nell’era della plasticosità post-indie (eh sì, siamo al giro di boa!).
“Fuori nevica” riabbassa i toni ma non il livello di emotività : la struttura della ballad aiuta la voce passionale di Angela a tirare fuori la giusta intensità oscillando tra Gazzelle e Frah Quintale, ma in modo personale, diverso e con tanto di discesa cromatica nel pre-inciso (cosa volete, a me queste piccolezze fanno impazzire).
Insomma, “Un Bel Guaio” appartiene alla risicata lista di lussi che non possiamo permetterci di perdere in questo deserto di mediocrità che attanaglia le nuove produzioni italiane: fosse mai che, nella siccità delle dune, stia nascendo un fiore.