è di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor“, di “Iosonouncane meno male che esisti“, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni“, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.
TOP
ANDREA LASZLO DE SIMONE
Dal giorno in cui sei nato tu
Sono sincero e lo ammetto sin da subito: a me Andrea Laszlo De Simone (ho scritto bene il suo nome? 24 CFU in Linguistica Generale solo per riuscirci) fa impazzire. Ogni volta che – per scelta o per frutto dei magnifici ed enigmatici algoritmi della riproduzione casuale – inciampo in un suo brano, il tempo si sospende e si annullano le distanze tra passato e presente nello slancio di una penna che sembra essere stata scongelata dagli anni Sessanta, dimostrando che la tradizione ha ancora tanto da insegnare ai figli della nuova amnesia generazionale, che rende orfane le coscienze nella crociata contro i monumenti della Storia. Un po’ di Lauzi, accenni di Endrigo e forti reminiscenze battistiane a far da contraltare ad un look da Frank Zappa, ossimoro meraviglioso e rivelatorio di una personalità complessa e caleidoscopica: nel modo di effettare la voce (nell’era della perfezione preconfezionata, Andrea porta il vinile nel digitale attraverso un sapiente e modernissimo utilizzo degli strumenti che la tecnologia offre – anche ai nostalgici) c’è tanta freschezza quanta scelta autorale; De Simone rende unico il suo timbro modificandolo e rarefacendolo, trovando naturalezza nell’artificio e facendo sì che all’ascoltatore diventi impossibile il contatto diretto con una vocalità che rimane eterea e sospesa perchè oltre. Quando poi, questi oltreuomini, parlano di cose così profondamente umane (e di conseguenza, così altamente spirituali) come lo stupore di un padre di fronte alla vita che insorge tra le ciglia assonnate di un figlio, allora ci sentiamo tutti un po’ più belli e vicini; perchè gli esempi eccezionali di bellezza, come Andrea è, servono a misurarci con noi stessi e dar parole ad un silenzio che non aspetta altro che diventare musica, nella grande sinfonia dell’esistere. A volte, serve solo ricordarci che possiamo essere più belli di quello che crediamo, o che ci hanno convinto di poter essere.
GAZZELLE
Destri
Dai, alla fine avevo l’hype a mille (ops, semicit.?) per l’uscita di Flavione – e mi aspettavo, da bravo gufo professionista quale sono, un tremendo flop – e invece quel furbone cala la mano usata di sempre e porta a casa tutto il banco, per l’ennesima volta. Diciamocelo fin da subito, “Destri” non è nulla di estremamente nuovo rispetto alla produzione recente di Gazzelle, anzi: batteria dritta in shuffle a supportare la climax ascendente di un testo che trova nella chitarra elettrica (esattamente come in “Punk”) lo sfogo della solita dose di malinconia colante e nubifragi di lacrime; certo, le parole sono tutte al posto giusto e alla fine del brano ti viene voglia di riascoltare tutto da capo (più per un fatto di empatia autolesionista che di reale necessità artistica), ma di fondo non c’è davvero nulla di diverso a cui Gazzelle ci ha già abituato. Quindi, direte voi, perchè inserirlo nei top? Perchè ho deciso di smetterla di cucire addosso agli artisti che seguo aspettative che finiscono con il deludere solo perchè mie, e solo mie: “Destri” è una bella canzone dal giusto piglio radiofonico, e basta cambiare prospettiva alle cose per rendersi conto che quella che per alcuni (me compreso) può sembrare carenza di nuove idee altro non sia che la conferma dell’esistenza di un marchio, di una firma autorale che ormai rende Gazzelle inflazionato perchè imprescindibile. Forse il problema del nostro tempo consiste proprio in questa smisurata ossessione per l’emulazione, che finisce con lo sfinirci di copie al punto tale che anche le matrici originali perdono la loro autenticità , nell’abuso dell’uguale; ecco, di fronte alla distopia di un mercato che sembra produrre singoli per osmosi, dare a Flavio quel che è di Flavio diventa doveroso per non perdere il contatto con la realtà e per non rendere i padri del nuovo mainstream colpevoli della degenerazione di tutti noi, proseliti fagocitanti.
FEDEZ
Bella storia
Fedez non rientra propriamente nella mia lista di ascolti ideali, nè porterei mai un suo disco sulla famosa isola deserta sulla quale custodire, salvandoli da ipotizzate apocalissi, gli ascolti più importanti della Storia dell’uomo. C’è da dire, nonostante ciò, che Fedez su quella maledetta isola deserta sembra saperci arrivare comunque, a nuoto e a colpi di ritornelli che se fossero remi avrebbero potuto spingere il Titanic fino alle tanto agognate coste americane anche nel bel mezzo del suo naufragio; e così, il rapper – che era stato tra i protagonisti di uno dei primi bollettini del venerdì – con “Bella Storia” conferma il trend e si aggiudica un posto d’onore tra i miei ascolti del weekend. Sia chiaro che il brano non mi fa impazzire, ma se nonostante questo comunque si trova qui è perchè non posso che ammirarne il miracolo architettonico e la maestranza con la quale sono state elevate verso picchi estremi di memorizzabilità le due, tre immagini cardini attorno alle quali ruota il pezzo: la “storia” è quella di una coppia che di “storie” vive, lanciata nell’etere attraverso il racconto di una quotidianità speciale, che fa sognare i voyeur da social e fa diventare verdi dall’invidia tutti gli haters che si rispettino. Il ritornello, davvero, è una mina. Non è De Andrè, certo, ma nessuno si sarebbe aspettato dal buon Federico che lo fosse, ed è innegabile che Fedez abbia dimostrato (e per l’ennesima) volta di saper fare il suo lavoro, e molto bene.
FLOP
ULTIMO
22 settembre
Ah, e che soddisfazione. Ragazzi, ascoltare il nuovo singolo di Ultimo è un regalo per chi come me non vede l’ora di sentirsi più intelligente, più intenditore, più cattivo che mai. Premettendo che ancora mi risulta davvero ostico immaginare che uno come Ultimo possa vendere così tanto pur essendo così antipatico (perchè diciamocelo, è antipatico come un ditino insabbiato lì dove sapete, e a Sanremo ha fatto proprio una figura barbina con le sue polemicucce da primo della classe) e così musicalmente e poeticamente scontato (perchè Mario Merola no e Ultimo sì? Io sento la stessa dose di melodramma nella musica del cantautore romano, solo tagliata su melodrammaticissimi sedicenni), ascoltando il suo nuovo singolo “22 settembre” qualche domanda me la sono fatta, dandomi un paio di risposte – tutte per lo più arroganti (ma mai quanto Ultimo), presuntuose (tipo che dovevo vincerlo io, Sanremo!) e tremendamente sconfortanti. La prima risposta che ho cercato di darmi è in merito al perchè ascoltare Ultimo; ecco, la conclusione a cui sono arrivato è che il giovane romano sia il cuscinetto utile ad attutire la sindrome d’abbandono derivata dalla progressiva eclissi delle varie Pausini, Modà e tutta quella pletora di ugole e interpretazioni rubate alla sceneggiata (con tutto il rispetto per la sceneggiata napoletana, che non meriterebbe certi accostamenti) dall’inesorabile passare del tempo e dei linguaggi: dietro la sua faccia da giovincello ribelle, Ultimo nasconde il ghigno del mercato più spietato, quello che si insinua nelle case di tutti attraverso baldanzosi cavalli di Troia agghindati per la festa di fine liceo ma armati, nelle viscere, dello stesso semplicismo caricaturale che appartiene alla macchietta, all’espressione più maccheronica dello stereotipo italiano tutto romanticismo e autoflagellazione amorosa vecchio di mille anni. Insomma, Ultimo è come Il Volo, Licitra e compagnia cantante (qui, nel vero senso della parola), espressione di un’Italia che si vuole retrograda e ferma ai suoi melismi pieni di fronzoli, con la sua impostazione tenorile a difendere l’orpello di una “bella vocalità ” più vicina al teatro di varietà che all’Opera, allo strillone di piazza che all’Orfeo innamorato. Di fronte a tutto questo, preferisco fare il tradizionalista e, se proprio mi sento in vena di andare fiero del mio essere italiano, ascoltarmi qualche aria di Verdi, o guardarmi qualche scena di Totò e di Govi. Quando ancora, appunto, fare “pop” non significava essere popolani, ai limiti del demagogico.
SEZIONE VIVAIO
Di fronte al nuovo che avanza ritrarci non è più possibile, se non assumendocene le pesanti responsabilità generazionali; ecco perchè abbiamo bisogno oggi di dedicarci ai polmoni di domani, che hanno bisogno di ossigeno e di speranza. Nasce per questo la “Sezione Vivaio”, con le nostre segnalazioni dei più interessanti emergenti di giornata: solo i migliori fiori che la gioventù, come direbbe Fossati, fa ancora crescere per le strade.
AVARELLO, Indigestione
Avarello è all’esordio, eppure la prima tappa del suo percorso discografico sembra cominciare sotto le buone stelle di una maturità artistica in fieri, certo, ma già vicina alla delineazione di un atto fatto e finito; Indigestione è un brano da falò, sì, ma che non si fa consumare dalle fiamme dell’usurato, del porto sicuro: la navigazione di Avarello procede al largo del mainstream attraverso il vento in poppa di una consapevolezza musicale che soffia da lontano, portando con sè tutti gli aromi e i profumi della tradizione cantautorale. Insomma, esordio sì, ma di uno che sembra già essere un veterano. Ne sentiremo parlare.
L’EDERA, Zattera
L’Edera è uno di quei nomi che insegue i miei ascolti da sempre; avevamo parlato del suo lavoro anche recentemente, e con Zattera conferma le belle sensazioni destate da una fila di belle pubblicazioni: il piglio è quello It-Pop (con accenni di Contessa e Galeffi ad occhieggiare qua e là ), ma la caratura poetica del testo aggiunge un quid in più – e non da poco – alle riflessioni esistenziali in cui ogni ventenne sperso e sparso nel mondo potrebbe riconoscersi. E ditemi se poco.
KUBLAI, Orfeo e Creatore
Kublai è un pazzerello vero: già con “Pellicano” (il suo brano d’esordio) aveva fatto capire alla scena di non volersi piegare all’abusato e usato ricettario pop, utile a guadagnare quel pugno di streams in più perdendo tutta l’identità che rende un artista come lui unico. Sì, perchè oggi con “Orfeo e Creatore” l’omonimo del grande imperatore rende onore alla caratura del suo nome con una traccia lisergica, imprevedibile e per questo, finalmente, originale.
BEMYNORTH, Twix
Ottimo ritorno per il Bemynorth, a confermare le belle sensazioni date dalle precedenti pubblicazioni; il mood è bello perchè – per dirla alla Stanis Larochelle – ben poco italiano: tanto pop internazionale a far da volano ad una produzione che ammicca ai club e ad un testo leggero, semplice e diretto. Insomma, una giusta alchimia per una hit da playlist capace di guardare oltre i confini nazionali, pur parlando la nostra stessa lingua.
RUDY SAITTA, Maria Colombia
Clavi latine e ritmi da slogatura del bacino per la nuova cumbia di Rudy Saitta, al secondo singolo nel corso di questo 2020 che sembrava aver tagliato le gambe a tutta l’emergenza musicale nostrana; Rudy, invece, scalda cuori e fianchi con una ballad nostalgica e laconica, in cui l’amore sembra far da guida all’errare meditabondo di un gringo sperduto tra Sicilia e Colombia, mentre Caetano Veloso canta dalle casse di una radio scassata su una Panda rovente lanciata verso orizzonti nuovi. Insomma, ottimo ritorno e bel modo per illuderci che l’estate non sia ancora finita.
DA GRANDI, Vancouver
Bel timbro e bell’impronta It-Pop per il nuovo singolo di Da Grandi, ben deciso a reinventarsi di fronte all’epilogo di un amore che sembra aver lasciato tracce nel cuore, sì, ma anche nel fegato: la rabbia della fine non riesce a celarsi dietro l’inciso di un brano compatto, ben scritto e perfettamente in linea con quello che oggi vorreste ascoltare. Insomma, la temperatura scende, l’estate se ne va a Vancouver e lunedì Da Grandi sembra volersi rimettere a dieta. Voi, come buon proposito per la settimana entrate, abbiate quello di prendervi cura dell’emergenza che vale.