Il mese scorso Jeremy Tuplin ha pubblicato, via Trapped Animal, il suo terzo LP, “Violet Waves”. Il variegato disco del songwriter nativo del Somerset ha trovato notevoli riscontri positivi in rete grazie alla ottima qualità dei suoi numerosi sapori sonori. In vista anche di un possibile arrivo in Italia in autunno (Coronavirus permettendo), noi di Indieforbunnies.com lo abbiamo contattato via e-mail per parlare del suo nuovo album, delle sue influenze, del futuro della musica dal vivo, dei vinili e anche del festival di Glastonbury. Ecco cosa ci ha raccontato:
Ciao Jeremy, come stai? Il tuo terzo disco, “Violet Waves”, è uscito il mese scorso: quale è stata finora la reazione dei tuoi fan?
Ciao, sto molto bene, grazie per questa intervista. Penso che sia stata buona. Se c’è qualcuno a cui non piace non mi ha ancora contattato per dirmelo, il che è molto gentile da parte loro. Ma da quello che ho sentito sembra che le persone stiano apprezzando il nuovo disco. Tutti sembrano avere canzoni preferite diverse, il che è interessante. Penso che ogni canzone dell’album sia stata scelta da qualcuno come la sua preferita nel disco. Il che potrebbe significare che non esiste una traccia in particolare per tutti, ma anche che nessuna delle canzoni è di cattiva qualità . Ci sono i pro e i contro. Sarà interessante, quando finalmente suoneremo il disco dal vivo, vedere come sarà la risposta. è un album divertente da suonare dal vivo con la band – molta varietà e un suono più grande e più pesante in alcuni punti rispetto al passato.
Il tuo nuovo disco si chiama “Violet Waves”: da dove vengono queste onde viola? C’è un significato particolare dietro a questo titolo?
L’idea iniziale era di chiamarlo “Apocalypse Television” e avremmo incorniciato il disco con ogni canzone come il proprio programma televisivo – ogni canzone è molto diversa, spesso parlano di storie differenti, quindi sembrava avere senso presentarla in questo modo. Ma “Apocalypse Television” è una canzone che alla fine non è entrata nell’album e ho anche deciso che era troppo roboante come titolo, quindi ho optato per qualcosa di più sottile, ma che avesse anche questo senso della televisione o di una trasmissione o onde radio, quindi ecco da dove viene “Waves”. E “Violet” ha a che fare con il sentimento sinestetico dietro i colori dell’album, mi sembra molto vivido sotto questo aspetto, in un modo che non è molto facile da spiegare a parole. Ma il colore viola, nello spettro della luce, è vicino all’ultravioletto invisibile, quindi per me ha questo senso di rappresentare qualcosa che è da un lato leggero e bello, ma dall’altro abbastanza oscuro e mistificante. Molte delle canzoni sono oneste e personali, ma sono anche avvolte nella metafora e aperte all’interpretazione. Questo era il tipo di processo di pensiero dietro a “Violet Waves”.
Quali sono stati i cambiamenti più grandi tra il tuo nuovo album e i tuoi lavori precedenti? Quali sono state le tue maggiori influenze per il tuo nuovo disco?
Innanzitutto penso che sia stato eseguito con una band che si è formata poco dopo che ho realizzato il disco “Pink Mirror” – The Ultimate Power Assembly, sebbene la maggior parte di loro abbia suonato anche su quel disco. Quando abbiamo registrato “Violet Waves” eravamo più vicini e abituati a suonare l’uno con l’altro. Ho scritto molte delle canzoni di questo album, in termini di aspetti non lirici, con i loro punti di forza musicali in mente – secondo me hanno stili e abilità di esecuzione davvero unici. Non ci sono molte persone, per quanto ne so, che possono creare i suoni che Samuel Nicholson può con la chitarra o Maris Peterlevics con un violino, per esempio.
In termini di influenze, penso musicalmente ho ascoltato anche gente come Adrianne Lenker e i Big Thief, Cass McCombs, Weyes Blood e Jeffrey Lewis. Il lirismo di Purple Mountains, il progetto di David Berman, e degli Arctic Monkeys di Alex Turner. Il songwriting di Ray Davies ha sempre avuto una grande influenza per me. Ma penso che molte volte ho più influenze letterarie nel mio modo di scrivere canzoni – persone come Virginia Woolf, Somerset Maugham o Sylvia Plath .. Christopher Isherwood. Ho appena letto “The Gambler” di Dostoevskij, che ha un senso dell’umorismo meravigliosamente bizzarro e ombroso che posso sentire permeare in una o due canzoni.
“Violet Waves” è stato registrato tra Italia, Regno Unito e Germania: puoi dirci qualcosa di più sul processo? Il tuo suono quanto è stato influenzato dai luoghi in cui hai registrato il tuo disco?
Solo per chiarire qualsiasi possibile confusione, alcune idee forse si sono formate on the road così come della nuova musica è stata provata live e in Italia in particolare, ma l’album stesso è stato registrato in poche settimane prima e dopo Natale 2019 allo studio Marketstall in Star Lane, East London, e lo abbiamo finito di mixare credo alla fine di gennaio. Ma in termini di influenze provenienti dai viaggi in Italia, Germania e Regno Unito, tutte queste cose hanno un’influenza diretta o non diretta sul songwriting, o almeno sul mio songwriting. Un album è una fusione di idee, ispirazioni, pensieri, dedizione e applicazioni mentali che formano le canzoni per un periodo di tempo e senza dubbio molte di queste cose sono accadute mentre eravamo in tour.
Di cosa parlano i testi del tuo nuovo disco? Sono personali? Da dove hai preso ispirazione mentre le scrivevi?
Penso che se provassi a riassumere brevemente di cosa parlano i testi del disco sarebbe un compito piuttosto difficile, ogni canzone è molto diversa dall’altra come ho detto, ma una cosa che ho capito dopo aver riascoltato ancora il disco poco dopo aver finito di registrarlo, è che, se c’è un tema che collega tutto insieme, è quello dell’amore, dello stare insieme e una sorta di compassione umana, o come dico in “The Inuit”, “l’importanza di essere soft”. Se l’ho fatto in un modo molto nascosto, sardonico o disinvolto e spesso circondato da impulsi più oscuri o forse di umore più oscuro, è perchè è un modo che per me lo rende appetibile o realistico. Trovo che la musica o qualsiasi cosa che presenti messaggi di amore o unità in un modo eccessivamente sincero e irrealistico abbia l’effetto opposto su di me. Ad esempio trovo incredibilmente deprimente la canzone “Happy” di Pharell Williams.
Le canzoni nel disco sono molto personali, tutte le canzoni che scrivo sono personali, anche se non riguardano me o se mi sto immedesimando in una persona o in un personaggio diverso nella canzone, sono comunque personali in quanto sto rivelando qualcosa sul modo in cui mi sento riguardo all’argomento di cui canto. Immagino che l’ispirazione generale di questo disco sia legata a una sorta di desiderio di rendere le cose più belle possibili nel piccolo mondo in cui vivo, per le persone che conosco e amo, per le persone che non conosco e anche per me ovviamente, pur essendo occasionalmente consapevole del fatto che la vita è davvero breve.
Usavi l’etichetta “space-folk” per la tua musica: puoi approfondire un po’ di più questa cosa? Va ancora bene anche per il tuo nuovo disco?
“Space-folk” era un’etichetta che ho inventato sul palco in un concerto qualche tempo fa, credo nel 2017, come uno scherzo per descrivere la musica che stavo suonando. è rimasta la stessa da quel momento in poi e, oltre a essere uno scherzo, descriveva abbastanza bene lo stile o il genere musicale: allora suonavo musica acustica e la combinavo con sintetizzatori e suoni elettronici, oltre a cantare molto spesso del cosmo. Sono tornato a cantare del cosmo in “Violet Waves” sebbene la strumentazione sia quasi interamente elettrica in questo disco. Quindi immagino che sia più space-rock o space-indie, ma non suonano così bene come space-folk.
Ho letto che potresti suonare in Italia il prossimo mese (se il coronavirus ci permetterà di organizzare qualche spettacolo): sei felice di suonare nel mio paese?
Siamo stati in tour in Italia nell’agosto dello scorso anno e ci è piaciuto molto, quindi ci piacerebbe tornare, se le circostanze lo consentono. Si parla di tornare a novembre, ma dovremo solo vedere come andranno le cose.
Hai fatto qualche concerto in casa durante il lockdown? Qual è la tua opinione sul futuro della musica dal vivo?
Ho suonato due concerti in live streaming dal mio soggiorno – uno organizzato dal promoter italiano Hang The DJ e da un locale in cui abbiamo suonato l’anno scorso ad Avellino, il Godot. E abbiamo anche suonato un live-stream completo della band nello studio del nostro bassista Mark Estall – lo stesso studio in cui abbiamo registrato l’album. Abbiamo avuto molti problemi tecnici con lo stream, ma alla fine penso che sia riuscito abbastanza bene. Tuttavia, non vorrei rifarlo di nuovo a breve. è stato un po’ stressante. Per fortuna la musica dal vivo sta iniziando a tornare a Londra, abbiamo uno spettacolo socialmente distanziato previsto per il 29 ottobre, quindi le cose stanno ricominciando. Potrebbe non essere la stessa cosa in termini di atmosfera dei concerti del passato, ma abbiamo l’opportunità di renderla una serata davvero speciale per noi e per tutti i presenti e spero che lo sarà . Come ogni cosa al momento, ogni settore, dobbiamo adattarci alla realtà presente. è così e basta. Ho molti bei ricordi dalla musica dal vivo del passato, ma ho anche dei brutti ricordi. Non ho davvero un’opinione sul futuro della musica dal vivo.
Sei sotto contratto con la Trapped Animal, un’etichetta indipendente inglese decisamente cool che mi piace molto: come ti senti a lavorare con loro? Come è nata la vostra collaborazione?
Sì, è fantastica, loro sono davvero una piccola squadra adorabile, principalmente sono solo tre persone: Joel, Jaz e Kerry. è un piacere lavorare con loro. è successo più o meno nel periodo in cui ho pubblicato un singolo, “Long Hot Summer”, nel 2018, credo. Stavo cercando una nuova etichetta e ho inviato loro il demo di tutte le canzoni che avevo registrato per “Pink Mirror” e da lì è partito il tutto.
Vedo che realizzi la tua musica anche in vinile (la limited edition viola di “Violet Waves” è già sold-out): cosa ne pensi di questo formato che è tornato alla grande negli ultimi anni a dopo un po’ di tempo? Ti piacciono e magari collezioni vinili?
Credo che ci siano ancora copie del vinile viola disponibili, ma solo sul sito web della Trapped Animal Records e su recordstore.co.uk. Penso che sia positivo per l’industria musicale, in particolare per l’industria indipendente, visto che fornisce un’ulteriore fonte di reddito. Come sono sicuro che non arrivano molti soldi dalla musica in streaming, in particolare per artisti ed etichette indipendenti e quindi questo revival del vinile compensa un po’ questo. Ma ci deve essere un qualche tipo di soluzione al modello di business della musica in streaming per renderlo più equo per il creatore. Al momento è un’ottima piattaforma per il consumatore, ma non per i musicisti, almeno per i musicisti non mainstream, quindi ti chiedi se sia sostenibile. Mi piacciono i vinili; ho una piccola, umile collezione di dischi, circa 150 dischi o qualcosa del genere.
Sei originario del Somerset: posso chiederti se hai mai suonato a Glastonbury? Cosa ne pensi di quel leggendario festival?
Non ho mai suonato a Glastonbury, ma vi sono stato come fan per 6 volte. Ho trascorso alcuni dei migliori fine settimana della mia vita a quel festival, assistendo ad alcune performance straordinarie: Leonard Cohen, Bjork, Arcade Fire. E’ diventato un piccolo mondo. Ti toglie però tutto, accorcia la tua vita. Ricordo che dopo l’ultima volta, probabilmente nel 2013, pensavo di aver bisogno di una pausa significativa. 7 anni dopo sono ancora della stessa opinione.
Un’ultima domanda: per favore puoi scegliere una delle tue canzoni, vecchia o nuova, da usare come colonna sonora di questa intervista?
Certo, dato che sono stato piuttosto filosofico durante questa intervista, scelgo l’ultima traccia di “Violet Waves”, “When I Die, etc.”
Photo Credit: Suzi Corker