I Cults sono tornati questo weekend con la loro quarta prova sulla lunga distanza, “Host”, che arriva a distanza di quasi tre anni dalla precedente, “Offering”.

Registrato insieme al batterista Loren Shane Humphrey (Last Shadow Puppets, Florence And The Machine, Guards), il nuovo disco è stato prodotto dalla stessa band di NYC con il supporto di Shane Stoneback e poi mixato da John Congleton.

Questo nuovo album non ha solo segnato l’importante traguardo dei dieci anni della band, ma anche l’importante entrata nel songwriting da parte della frontwoman Madeline Follin, che ““ dopo essere stata fermata per tanto tempo dalla sua timidezza – ha finalmente trovato la forza per condividere le sue canzoni con gli altri e ciò si è sicuramente rivelato un importante nuovo capitolo per il gruppo statunitense.

Il disco si apre ““ a nostro avviso piuttosto inaspettatamente ““ con gli archi di “Trials”, che creano immediatamente una nostalgica atmosfera cinematografica noir: preziosamente costruita, la opening-track gode di un bellissimo ritornello, che aggiunge una piacevole iniezione di melodia che suona leggera e dolce come la voce della Follin.

Ottimo anche l’uso dei fiati nella successiva “8th Avenue” accompagnati da un’intrigante linea di basso: il risultato è un pop gentile e raffinato dalle tinte decisamente dark.

Sono ancora gli angelici vocals della frontwoman a risplendere nella pur breve “No Risk”: disegnata con piano, synth e batteria, la canzone si sposta su territori indie-pop dal sapore antico, semplici, ma davvero gustosi e delicati.

“Honest Love” è capace di farci sognare con quelle sue sincere ed emozionanti sensazioni melodiche che riempiono immediatamente il cuore, mentre la conclusiva “Monolithic”, dalle atmosfere celestiali, ha un non so che di romantico e non nasconde un leggero velo di psichedelia.

Un album indie-pop ben costruito, spesso elegante e intelligente, “Host” si lascia ascoltare volentieri e mostra un altro gradito passo avanti nel cammino dei Cults.

Photo Credit: Shawn Brackbill