Che suono potrebbe avere l’apocalisse? Un indizio ce lo forniscono Masami Akita in arte Merzbow, il virtuoso sassofonista svedese Mats Gustafsson e il vulcanico batterista ungherese Balás Pándi. Trio rumorosissimo e feroce che dal primo fortuito incontro nel 2013 ha continuato a sfornare monoliti in bilico tra noise rock, no wave, jazz sperimentale e elettronica.
Dopo “Cuts”, “Cuts Of Guilt, Cuts Deeper” insieme a Thurston Moore (collaborazione inevitabile) e “Cuts Up, Cuts Out” tornano con “Cuts Open”. Quattro composizioni originali all’insegna dell’improvvisazione ragionata, tra violente distorsioni elettriche che formano la base di partenza per strane melodie ripetute su cui si innestano il flauto suonato da Gustafsson tenue e delicato come un canarino in una miniera di carbone e il sassofono baritono, urticante e infernale.
La presenza di numerosi strumenti a percussione nello studio Studio GOK di Tokyo, dove l’album è stato registrato, ha influenzato lo stile del trio rendendolo più cadenzato ma non certo privo di tensione, evidente soprattutto nel corposo lavoro della batteria di Pándi alla fine di “And we went Home” e nella conclusiva “He locked the Door”.
A conti fatti quella di Akita, Gustafsson e Pándi è un’apocalisse più gentile del solito, un filo meno aggressiva, quasi speranzosa. Titoli ispirati ai libri dell’autrice svedese Karin Smirnoff, dai diciassette ai ventitrè minuti a brano. Solo per veri intenditori.