Alla fine degli anni ’90, con l’evaporazione del grunge americano e del brit pop inglese, la scena rock mondiale si ritrova in crisi identitaria e con un serio blocco creativo. Le nuove strade da percorrere, quelle non ancora battute da nessuno, parevano introvabili, la natura stessa del rock in serio pericolo.
Tra le band sorte appena prima di questo delicato periodo storico musicale ci sono i britannici Placebo, un trio già attivo dai primi anni ’90 che ha deciso, allo scadere del millennio, di non cercare sentieri sconosciuti da intraprendere, ma di districarsi ancora tra i filoni a cui Brian Molko e soci erano già fortemente sublimati.
Il primo disco omonimo è rabbioso e incarna l’anima grezza, quasi garage, dei tre “freaky boys“. Il disco ottiene subito successo e Brian si ritrova a fare i conti con sè stesso, coi propri problemi esistenziali, psicologici, e con il gancio d’aiuto insidioso della droga emerso dalla sua oscurità e preso subito saldamente a due mani.
Questa situazione difficile e dolorosa portò a scontri intestini all’interno dei Placebo, ma anche alla pubblicazione del loro capolavoro “Without You I’m Nothing”.
Arriviamo all’anno 2000 e i Placebo sono ormai delle star.
In un clima di trepidante attesa da parte del pubblico e con una fondata consapevolezza dei propri mezzi i Placebo pubblicano il loro terzo lavoro in studio: “Black Market Music”.
L’album è un passo in avanti sicuramente rispetto al garage dell’esordio, e anche il glam di “Without You I’m Nothing” viene superato. Le sonorità acquisiscono una nuova profondità e una differente verve.
E’ quindi un disco riuscito? No.
“Black Market Music” è un passo avanti che porta la band a cadere, a inciampare nelle proprie convinzioni e a finire in un pantano sterile.
I testi di Molko sono intimisti, ma confusi. Brian comincia a esprimersi per frasi fatte e il sound dark ma catchy mischia questa volta Nine Inch Nails, The Cure e Sonic Youth alla rinfusa. La figura stessa di Molko muta in quella di un ribelle insofferente. Paradigmatica è la scenata avvenuta al Festival di Sanremo del 2001, quando i Placebo vennero convocati come ospiti speciali a performare (per modo di dire, dato che si trattava di un playback) la hit-ballata “Special K”, e Molko, in evidente stato di ebrezza, comincia a insultare il pubblico e a distruggere gli strumenti sul palco.
Le maggiori differenze compositive e sonore di “Black Market Music” rispetto ai due album precedenti sono rintracciabili in “Spite & Malice” brano che strizza l’occhio all’hip hop e in “Black-Eyed” che mostra venature elettroniche.
Sicuramente “Black Market Music” è arrivato in un momento difficile per la band inglese. L’opera urla da ogni poro il proprio fastidio e la propria sensibilità ferita da uno show business gelido e duro.
Brian Molko trasmette il suo malessere in liriche che sono un grido d’aiuto semplice, ma poco comprensibile allo stesso tempo.
Il messaggio di “Black Market Music” è veicolato per lo meno dalla meravigliosa voce naturalmente metallica di Brian, che rimane e si impone qui ancora una volta come timbro riconoscitivo dei Placebo stessi.
Un disco riuscito male quello del 2000, ma che servirà alla band per raccogliere le forze e la concentrazione che li porterà a pubblicare a tre anni di distanza: “Sleeping With Ghosts”, uno dei loro migliori album di sempre.
Data di pubblicazione: 9 ottobre 2000
Durata: 45:44
Tracce: 12
Produttore: Paul Corkett, Placebo
Etichetta: Virgin Records
Tracklist:
1. Taste In Men
2. Days Before You Came
3. Special K
4. Spite & Malice (feat. Justin Warfield)
5. Passive Agressive
6. Black-Eyed
7. Blu American
8. Slave To The Wage
9. Commercial For Levi
10. Haemoglobin
11. Narcoleptic
12. Peeping Tom (+ ghost track Black Market Blood)