Pochi avrebbero scommesso sul ritorno dei Groove Armada dieci anni dopo la doppietta “Black Light” / “White Light”. Tom Findlay e Andy Cato sembravano voler fare altro: Findlay ha frequentato corsi per diventare terapista, Cato era invece impegnato a gestire una fattoria in Francia. Entrambi si occupavano di musica house per piccole etichette. Lontani, molto lontani dalle luci della ribalta e da quelle stroboscopiche dei dancefloor che pulsavano ormai su frequenze diverse.
Un ritorno dettato dall’energia che si sprigiona in studio, quando il resto del mondo si spegne e c’è un’intensità quasi folle a cui è difficile rinunciare. Si rivedono storici collaboratori come Nick Littlemore (Empire Of The Sun, Pnau) e fanno capolino grossi nomi come il padrino dell’UK Garage Todd Edwards e Paris Brightledge, pezzo di storia della musica house.
L’inizio è soft e ambizioso: falsetto, tastiere in primo piano rendono “Get Out On The Dancefloor” un brano vitale e sbarazzino. Seguono due pezzi (“Holding Strong” e “Tripwire”) in bilico tra pop e elettronica, che spiegano il paragone con Roxy Music e Hall & Oates inserito nella press release.
“Don’t Give Up”, “We’re Free” e “Dance Our Hurt Away” invece sono un chiaro omaggio a Giorgio Moroder, soprattutto nell’uso delle voci femminili. La title track è stata recuperata dalle caotiche session di “Black Light” e diventa un viaggio intenso e cadenzato con un finale esplosivo e la voce di Jessica Larrabee dei newyorchesi She Keeps Bees.
Lisergica “Lover 4 Now” tra Ibiza e italo ““ disco, solo il primo di almeno tre brani che s’ispirano agli anni ottanta con il tastierone e l’assolo di chitarra di “I Can Only Miss You”, un po’ di soul elettronico (“What Cha Gonna Do With Your Love”) e i sintetizzatori di “Talk Talk”. Forse non l’album che i fan si aspettavano ma un disco che Findlay & Cato avrebbero messo sul piatto nei leggendari bus party post esibizione. Retrò e deliziosamente fuori dal tempo.