Si è dovuto attendere sette anni per avere un vero e proprio nuovo album degli Autechre ma, in fin dei conti, ne è valsa la pena. Perchè le undici tracce di “Sign” sanno come catturare l’ascoltatore sin dai primissimi secondi, immergendolo totalmente nel sempre più suggestivo universo sonoro creato da Sean Booth e Rob Brown.
Reduci dalle mastodontiche abbuffate digitali di “elseq 1″“5” e “NTS Sessions 1″“4”, i due artisti di Rochdale tornano con un lavoro dalla durata non eccessiva per i loro standard (“solo” sessantacinque minuti) e oserei dire persino accessibile, considerando la notevole connotazione melodica dell’opera. La componente ritmica ha tutto sommato un ruolo alquanto marginale nel disco, a esclusione dei beat sincopati e spezzati che contraddistinguono “au14” e “sch.mefd 2”.
Per il resto gli Autechre di “Sign” sembrano voler dare risalto a un’idea di musica elettronica estremamente atmosferica e cinematografica, da godersi possibilmente da soli e con un bel paio di cuffie. Perlopiù i brani in lista ““ tutti strumentali, naturalmente ““ sono stati costruiti in maniera apparentemente lenta e graduale, partendo da semplici progressioni di accordi cui va l’arduo compito di creare mood sempre diversi.
“Sign” è essenzialmente un album ambient: il duo britannico utilizza i consueti synth e sequencer per dar forme soniche a pensieri, sensazioni ed emozioni in costante mutamento. Tra le note c’è quel particolare tipo di freddezza che caratterizza l’IDM più sperimentale e glitchata, ma vi è anche ““ e soprattutto ““ un immenso calore, sintomo forse di un desiderio di umanità e vicinanza forte come non mai nella disgraziatissima fase storica che stiamo attraversando.
Per cui se dalle glaciali “psin AM”, “esc desc” e “si00” traspaiono distacco, desolazione e inquietudine, dalle splendide “Metaz form8”, “th red a” e “r cazt” viene emanata una potenza vitale realmente capace di commuovere. Credo si possa parlare di dolcezza, nonostante i suoni a tratti aspri dei sintetizzatori.
Inutile dilungarsi troppo nelle descrizioni: mai come in questo caso vale la pena lasciare che sia la musica a parlare. Lasciatevi avvolgere dall’elettronica degli Autechre per cogliere tutti gli aspetti di un’opera magari non ricchissima di dettagli, ma sicuramente ad alto impatto emotivo.