Abbiamo puntato le luci dei nostri riflettori sulla band di Sydney Minsky-Sargeant sin dai singoli d’esordio, quando la prima formazione comprendeva Giulia Bardo (che, appunto tra parentesi, è proprio in questi giorni in studio a registrare il suo primo album, il nostro “in bocca al lupo” all’artista bresciana) e il batterista Jake Bogacki. La formazione originaria si è subito disgregata dopo il singolo “Bad Blood”. La band ha assunto la nuova fisionomia attuale, cambiando pelle come un volitivo serpente che da Tomorden, nello Yorkshire occidentale, ambisce a raggiungere ogni angolo del mondo.

Impresa non impossibile visto i giudizi veramente positivi sull’omonimo debut album. Un cambio di pelle iniziato lo scorso anno quando Sydney, dalla sua cameretta di Todmorden, ha trovato nuovi amici alle sue quattro chitarre, amici come un synth digitale, una vintage drum machine del 1986, un MIDI sequencer e l’immancabile MacBook Pro laptop. Con i suoi nuovi compagni di viaggio (in questo caso gli umani   Liam Ogburn al basso,  Rob Graham  dei  Grenge   – chitarra e synth – e Maired O’Connor alle tastiere, chitarra e seconda voce) e la collaborazione alla produzione di Ross Orton  (The Fall, M.I.A., Arctic Monkeys).

Sydney ha scritto pezzi dal ritmo decisamente danzereccio e con una forte presenza di elementi elettronici. Le chitarre partecipano alla festa ma con fare timido,   trovando però alcuni momenti di attenzione nelle funkeggianti “White Rooms & People”e “John Cooper Clarke” o il riff quasi hard-rock di “Cook a Coffee”.

Se iniziamo l’ascolto con il brano d’apertura “Valley” siamo all’istante invitati a una serata rave in un luogo freddo e umido. Un ritmo accattivante e funky è accompagnato da un cantato appassionato ma svogliato. Il brano riesce nell’intento di trasmetterci questa emozione di solitudine e noia. Dobbiamo fare un viaggio con la mente e anche se Todmorden è solo un nome che non riusciamo ad associare a nulla, con poco sforzo non è difficile immaginare un autunno e un inverno trascorso in una valle del Nord Inghilterra. La musica diventa la tua salvezza e anche se i ritmi sono quelli da farti sballare la voce si adagia e si adatta al clima. C’è anche il tempo per inveire contro il giornalista di destra Andrew Neil che nel brano “Cook a Coffee” lancia il suo invito “sintonizzati sulla BBC e guardami … defecare …

L’album si chiude con il brano “Angel”, che con i sui 12 minuti e mezzo è senza dubbio il momento più “rock” dell’album.

Una band che promette bene anche nelle esibizioni live, per ora abbiamo avuto modo di seguirli in un live streaming da Manchester con la nostra coinvolgente descrizione dell’evento (leggi).

Riuscire a miscelare l’erotismo della musica elettronica alla sensualità  del funky non è impresa facile. L’incontro tra Sydney Minsky-Sargeant e Ross Orton sembra aver creato quell’intesa che ha consentito il raggiungimento del risultato.

I Working Men’s Club sono rapidamente diventati una realtà  nel panorama musicale britannico, dando un’altra versione, più elettronica, del post punk “cattivo” di Fountaines D.C. o degli Idles (per citare le due band che hanno da poco pubblicato il loro ultimo disco).

 

Photo Credit: Andy Nicholson