Jessie Ware è una cantautrice inglese che esordì nel 2012 con una piccola perla R&B infettata di sonorità anni “’80, “Devotion“, per poi perdersi in un paio di insipidi tentativi di estendere quel successo presso un pubblico più ampio. “What’s Your Pleasure?” è il suo quarto lavoro e scivola nell’orbita dei revival anni “’90 e dell’esplosione del dance-pop al femminile, alla pervicace ricerca di un vestito “adulto” da mettersi (pensiamo all’inaspettato successo di critica di Dua Lipa, alle produzioni di Carly Rae Jepsen e al recente esordio di Rina Sawayama, senza dimenticare che è in arrivo l’ultimo album della capostipite di tutte loro, Kylie Minogue).
Il gusto vintage non è mai mancato alla Ware, che decide di riavvicinarsi alle atmosfere del debutto per mettere a punto un ambizioso bignami di musica da ballo. Effettivamente, l’album potrebbe essere considerato come la più grande summa “colta” del genere disimpegnato per eccellenza, la musica disco/dance. La carrellata copre un trentennio di storia delle dancefloor.
C’è un precedente in “I Remember Yesterday” di Donna Summer, che nel 1977 fece il tentativo di combinare la musica disco con gli stili dei decenni precedenti (dagli anni “’40 fino al”… futuro, che fruttò l’unico pezzo degno di memoria, l’immortale “I Feel Love”). La Ware riesce a creare un esperimento ancor più organico, partendo proprio da quel successo della Summer (sulla title track), e piazzando qua e là riferimenti alla musica dei tardi “’70 e alla sua civiltà del sabato sera (ad esempio gli archi à la Barry White in “Step Into My Life”).
Ci inoltriamo negli anni “’80 con “Ooh La La”, dove udiamo l’eco della “Rapper’s Delight” dei Sugarhill Gang, uno dei primi brani hip-hop, mentre l’altro occhio ammicca al synth-funk di Prince. Ed è sempre l’artista di Minneapolis il santo protettore del kitch di “Read My Lips” e di “Soul Control”, dove affiorano anche i fantasmi dei fratelli Michael e Janet Jackson. Lungi dall’essere mere copie carbone, le canzoni sintetizzano quei linguaggi in un nuovo esperanto con cui Jessie Ware può comunicare il suo furbo R&B col massimo dell’eloquenza.
La deep-house di “Save a Kiss”, uno dei gioielli, potrebbe essere un classico di metà anni “’90, e “Adore You” uno dei migliori brani mai interpretati da Mariah Carey. Giù per quel mood, “In Your Eyes” ripesca addirittura la fase trip-hop degli Everything but the Girl, lo smooth soul di Sade, ma anche – e soprattutto – il ruggito bianco di Lisa Stansfield: è lei la musa di “Spotlight”, alla pari della Madonna del periodo noir di “Erotica”, la cui lezione imperversa pure su “The Kill”, sovrastata da un palcoscenico altamente drammatico.
Infine, la funky house di “Mirage (Don’t Stop)” ci proietta negli anni 2000, tra Moloko e Daft Punk, prima di sigillare il viaggio con l’orchestrale senza tempo di “Remember Who You Are”, personale tributo alle proprie origini soul.
La Ware scrive liriche banali e ripetitive su infatuazioni, cuori spezzati, pruriti all’interno coscia e scipite svenevolezze, ma le intona con una voce dalla versatilità potenzialmente sconfinata, che parte dal rap e arriva a lambire il musical. E, oltretutto, quasi ogni brano ha un potenziale commerciale non indifferente (cosa che non guasta mai, specie se sei una cantante pop).
Ma il plauso maggiore va alla produzione di James Ford, le cui abilità mimetiche impediscono di incasellare ciascun pezzo in questo o quel genere, ma misurano sapientemente le dosi con lucida sensibilità . L’arrangiamento copre una gamma sterminata di contrappunti, timbri, umori e trucchi di missaggio. Il risultato è un sogno ad occhi aperti sulle piste da ballo calpestate da almeno tre generazioni di adolescenti, che ha l’ulteriore merito di non suonare nè datato nè eccessivamente derivativo.
Abbandonate le baracconate di Lady Gaga, a cui va peraltro il merito (e la colpa) della rivitalizzazione di questo genere, il dance-pop sta vivendo una stagione particolarmente fertile e stanno iniziando a fioccare i lavori di sintesi meglio riusciti che, a posteriori, verranno visti come importanti snodi evolutivi. Sensuale e praticamente scevro da ogni trivialità , “What’s Your Pleasure?”, ne siamo sicuri, sarà uno di questi.