Ve li ricordate i Rockets? Sul finire degli anni ’70 questa eccentrica band francese conquistò il cuore degli italiani con una hit straordinariamente originale, ovvero una rilettura in chiave space rock di “On The Road Again” dei Canned Heat. Ancora oggi, nonostante i quattro decenni abbondanti trascorsi dalla fondazione, il gruppo gode di un ampio seguito in Europa, guadagnato anche grazie allo sfavillante look da alieni pelati e argentati sfoggiato nelle apparizioni pubbliche.
Come dimenticare l’omaggio tributato dagli Elio e le Storie Tese in occasione della serata finale del Festival di Sanremo del 1996, quando salirono sul palco dell’Ariston conciati alla loro stessa maniera? Un ironico atto di riverenza nei confronti di una realtà musicale che, tra interruzioni e ripartenze, ci ha regalato diversi album degni di attenzione.
In questa categoria possiamo oggi inserire “Parallel Worlds”, esordio solista di quel Fabrice Pascal Quagliotti che dei Rockets non è solo l’anima e la mente, ma anche l’unico superstite della formazione originale. Le quattordici tracce del disco rappresentano frammenti di colonne sonore per film mai realizzati. A eccezione di una manciata di campioni vocali, il lavoro è interamente strumentale; una scelta assolutamente saggia, in grado di dare il giusto risalto ai synth di Quagliotti.
Le tastiere dell’artista francese sono il fulcro attorno al quale ruota un’idea di musica elettronica magari non particolarmente innovativa, ma estremamente suggestiva. E non potrebbe essere altrimenti, visto che stiamo parlando di un’opera dall’esplicita connotazione cinematografica. Ogni singolo brano di “Parallel Worlds” sembra infatti essere stato scritto per accompagnare delle immagini in movimento.
Fabrice Pascal Quagliotti parte dalle lezioni apprese da Jean-Michel Jarre e Vangelis per aggiungere, di volta in volta, quei piccoli tocchi personali capaci di infondere la giusta atmosfera. Ma forse dovrei parlare di atmosfere, considerando la grande varietà dell’album. L’ascoltatore si trova sballottato tra influenze “kraftwerkiane”, toni epici, reminiscenze dance, raffinatezze da piano ballad, sconfinamenti etnici (molto bella “Japanese Tattoo”) e persino qualche timida tentazione industrial, come ci dimostra la ruvida “Mezcal”. Il tutto avviene in costante bilico tra citazioni colte e popolari, in un mix sintetico a metà strada tra sperimentazione e sonorità da sigle e stacchetti televisivi.
C’è molto e forse anche troppo in questa prima uscita in solitaria del leader dei Rockets, ancora alla ricerca di un sound coeso ma già immesso su una buona strada. Se siete appassionati sfegatati del sintetizzatore in ogni sua forma, vi consiglio vivamente di non lasciarvi scappare “Parallel Worlds”: Quagliotti è un fuoriclasse dello strumento.